«Always look on the bright side of life», suggeriscono i Monty Python nel finale di Brian di Nazareth. Il lato oscuro di questa crisi sistemica lo conosciamo bene, al contrario tendiamo a non vedere il lato luminoso del tempo presente. Il capitalismo finanziario è descritto come un totus potente, in grado di annullare ogni soggettività alternativa, e sempre più le riunioni della sinistra assomigliano a un funerale, dove si piange ciò che non c’è più, o dove si scava svogliatamente sotto il cemento sapendo già che non ci sarà sabbia ma solo altro cemento. Non è la migliore attitudine per analizzare il mondo, i cambiamenti in corso e connettersi a ciò che è vivo per costruire quel che manca ancora e di cui abbiamo urgente necessità.

Oggi la «crisi organica» riguarda prima di tutto il capitale finanziario, tenuto in vita dalle banche centrali con respirazione bocca a bocca, e in varie parti del pianeta abbiamo assistito, in questi anni, a una nuova politicizzazione di massa, di cui l’affermazione di Syriza o di Podemos, ma anche di Sinn Fein e presto della sinistra portoghese, sono solo alcuni dei portati. Nel lato luminoso del presente c’è, appunto, l’emersione in Europa di una nuova sinistra maggioritaria e di governo, alternativa a quel che resta dell’involuzione socialdemocratica, che ha assorbito le ricette dell’avversario storico e ci spiega come per essere veramente di sinistra dobbiamo essere veramente di destra, persino dalle colonne del giornale fondato da Gramsci. Ma l’Italia, a differenza di Spagna, Grecia, Irlanda e Portogallo, dopo il 2008 non ha visto svilupparsi una mobilitazione di massa anti-austerità, in grado di politicizzare il discorso pubblico circa le cause e le soluzioni alla crisi, e il M5S ha assorbito buona parte di quelle energie che altrove sono state la linfa della nuova sinistra. Questo ha reso fino a oggi difficile la costruzione di un progetto forte d’alternativa nel nostro paese.

Nel lato luminoso c’è poi l’esplosione, nella crisi, di innumerevoli forme di cooperazione, aggregazione, iniziative di condivisione e di mutuo soccorso: un tessuto che mostra come il desiderio di socialità e solidarietà sia vivo sotto le ceneri dell’atomizzazione. Su scala locale, nel lato positivo metto anche il 6,3% di Sì Toscana a Sinistra alle scorse regionali, un risultato ottenuto in appena un mese, con un simbolo nuovo, pochi soldi, estromessi dai media e privi di un progetto nazionale trainante. Il Sì ha dovuto fronteggiare non una Paita o un De Luca, ma Rossi, ancora percepito come l’anti-Renzi malgrado sia, fra tutti i presidenti di regione, il più schiacciato sulle politiche renziane. Il Sì ha saputo costruire un programma di governo «in positivo», operando, fin dal nome, un ribaltamento semantico rispetto all’immagine di una sinistra che si definisce in opposizione ad agende altrui. Con l’obiettivo di connettere il lavoro nelle istituzioni alla progettazione di pratiche di mutualismo per intervenire sui bisogni e generare spazio pubblico, riconoscimento di saperi diffusi, nuove relazioni umane. Vi è un desiderio diffuso di ricostruire legami sociali e felicità collettiva da cui dobbiamo ripartire. E fra i lati luminosi del presente vi è il fatto che, pur nella crisi generalizzata dell’autonomia cognitiva, su alcuni temi fondamentali siamo largamente maggioritari nella società: pace, acqua e beni comuni, reddito minimo e superamento della precarietà, questione previdenziale, ossia lo scandalo delle nuove generazioni escluse dal sistema pensionistico. Su questi temi siamo maggioranza ma non riusciamo a farlo pesare. Occorre quindi una soggettività politica che imponga una nuova agenda, smettendo di rincorrere o di emendare quella altrui.

Ma non basta avere un pensiero forte e un’agenda netta, foss’anche il miglior programma di governo e cambiamento possibile. Occorre fare i conti con il terreno dell’immaginario e con la nostra capacità di comunicare una nuova idea del mondo. Le ideologie oggi sono vivissime, la destra è riuscita a costruire senso comune, dalla naturalizzazione del mercato fino all’introiezione della «colpa» da parte dei ceti popolari: la crisi dipenderebbe da salari troppo alti, lavoro troppo rigido, eccessiva spesa sociale. Ma è soprattutto su un terreno simbolico ipersemplificato che la destra vince, non sul terreno del pane e del materiale, ma su quello delle rose, seppur di plastica. La forza di Renzi è nel fumo, non certo nell’ennesima variante delle stracotte ricette neoliberiste: vende soprattutto l’immaginario, il dinamismo giovanile del «fare», che risolve i problemi e sistema l’Italia. Così come il fascio-leghismo vende il «capro espiatorio», il sacrificio del più debole, lavacro delle responsabilità dei potenti. La Lega, divenuta secondo partito in Toscana, non ha nessun radicamento territoriale nella nostra regione, altro che presenza nelle periferie: ha stravinto il messaggio etereo del Salvini televisivo.

Intendiamoci, alle persone che abbiamo attorno non interessa ricostruire «la sinistra», termine per molti nebuloso, tantomeno interessa custodire un’area di marginalità, ma cambiare in meglio le proprie vite, mutando gli attuali rapporti di forza. La fiducia nella politica come strumento di cambiamento è vicina allo zero in un’Europa in cui ci viene spiegato che possiamo cambiare i governi ma non le politiche, dove l’essenziale è sottratto alla sfera del decidibile e financo il keynesismo è stato reso incostituzionale. Qui non si tratta di giocare alla difesa delle identità o di eleggere qualcuno da qualche parte, ma di costruire uno strumento collettivo che sia utile e di credere nel fatto che ciò sia possibile. Utile ed efficace, perché non basta avere ragione, bisogna essere efficaci.

Occorre un’organizzazione dove ciascuno vale uno e dove tutti insieme possiamo decidere programma, nome, progetti sociali da promuovere. Che sia in grado di coniugare partecipazione on line e off-line e di generare nuove leadership. Un’organizzazione inclusiva, che abbia posizioni nette e riconoscibili: non c’è spazio per politicismi e tatticismi, per atteggiamenti ambigui e poco comprensibili. Ecco perché metter assieme ciò che esiste alla sinistra del Pd è condizione necessaria ma nient’affatto sufficiente: dobbiamo piuttosto iniziare una nuova storia, capace di nuovi linguaggi, che parli alla maggioranza invisibile, che progetti un nuovo welfare universale non più tagliato sul lavoratore maschio bianco a tempo indeterminato. C’è bisogno di unire i pezzi di società che sono stati frammentati e messi gli uni contro gli altri, disoccupati, precari, neet, operai, insegnanti, ricercatori, partite iva, ceto medio impoverito.

Quindici anni fa Pintor proponeva una costituente a sinistra con queste parole: «sento il bisogno di una novità, anche di immagine o di stile. So che la gatta frettolosa fa i gattini ciechi, ma questo è già accaduto e il rischio che corriamo è solo di riacquistare la vista». È l’ora di riacquistare la vista e d’intrecciare – in termini nuovi ed entro un orizzonte europeo – giustizia sociale, giustizia ambientale e costruzione di relazioni e legami sociali, ossia d’intrecciare giustizia e felicità.

* L’autore è capogruppo Sì-Toscana a Sinistra, Consiglio Regionale Toscana