La casa di Khaled Ramadan alla periferia di Amman è immersa nel silenzio. Il leader della lista progressista “Maan” si gode qualche ora di riposo prima del rush finale della campagna per il rinnovo del Parlamento. Si vota il 20 settembre. «Sappiamo che la legge elettorale favorisce i candidati delle zone rurali e periferiche legati al potere» ci dice Ramadan. «Malgrado ciò, noi ci proviamo – aggiunge –, siamo determinati a portare avanti il nostro programma di sviluppo economico a favore dei lavoratori e delle fasce sociali più deboli, di uguaglianza di genere, di separazione tra religione e Stato». Il tono è carico, il sorriso perenne ma il capolista di “Maan” sa bene che a queste elezioni la sinistra giordana dovrà scontrarsi non solo con l’alleanza di fatto tra la monarchia, forte dei suoi storici alleati – i clan familiari più potenti, i beduini, le minoranze, i cosiddetti “giordani doc” – e i Fratelli musulmani resi inoffensivi. Deve tenere conto anche delle sfide che la crisi siriana pone al Paese, a cominciare dalla presenza di almeno 655mila profughi che, sebbene il governo e le forze di sicurezza abbiano fatto il possibile per tenerli chiusi nei campi allestiti nel nord, sono riusciti in parte a raggiungere Amman e altre città. Un afflusso di migliaia di braccia a basso costo che alimenta la strategia elettorale di chi soffia sulle paure delle famiglie a basso reddito e dei disoccupati.

«È una questione enorme – spiega Ramadan- che non può essere affrontata diffondendo slogan di rifiuto dei siriani, di negazione dei loro diritti e dell’accoglienza. La legge umanitaria internazionale chiede ai Paesi confinanti con aree di guerra di fornire aiuto e assistenza alle popolazioni in fuga dai quei luoghi. E la Giordania deve essere accogliente». Allo stesso tempo, prosegue il leader della lista “Maan”, «la comunità internazionale non può venire meno ai suoi obblighi e deve garantirci il massimo dell’aiuto. Il peso dei profughi grava sulla nostra economia, pone problemi sociali e il Paese ha il diritto di reclamare un sostegno maggiore». Ramadan è uno dei pochi candidati progressisti che esprime una posizione chiara su quale, a suo avviso, dovrebbe essere la linea della sinistra giordana verso centinaia di migliaia di profughi siriani: accoglienza assieme a pressioni sulla comunità internazionale per aumentare gli aiuti alla Giordania, in contrapposizione alla politica intollerante e di rifiuto portata avanti dai conservatori legati alla monarchia e agli apparati di sicurezza. Quasi tutti gli altri candidati progressisti non dedicano spazio sufficiente al tema dei profughi (e alla guerra nella vicina Siria) e si limitano a proporre un programma standard di diritti politici e assistenza economica ai giordani che, tra le altre cose, non cattura il consenso delle nuove generazioni attirate dall’islamismo politico e non solo quello che fa riferimento ai Fratelli Musulmani.

In Giordania sono tre i principali partiti della sinistra: Partito comunista, Partito di unità popolare (nato dal Fronte popolare per la liberazione della Palestina) e il Partito democratico popolare (generato dal Fronte democratico per la liberazione della Palestina). A questi si aggiungono partitini di orientamento baathista e alcune formazioni nazionaliste. Tutte insieme queste forze, secondo gli analisti locali, non raccolgono più del 15% dei consensi. «L’Islamismo dal punto di vista politico e sociale è la sfida principale con cui dobbiamo fare i conti» afferma Masoud Dabbagh, un simpatizzante del Partito comunista «le risorse enormi che i Fratelli musulmani possono investire nella assistenza sociale attirano le nuove generazioni, i disoccupati e le classi più deboli, ossia i settori della popolazione che sono il riferimento anche la nostra azione politica. Inoltre a quasi trent’anni dalle riforme del 1989 decise dalla monarchia che diedero maggiore una libertà ai giordani e consentirono la formazione dei partiti politici, l’alleanza dietro le quinte tra il regime e gli islamisti continua ad avere come obiettivo principale il contenimento della sinistra e delle forze democratiche».

Ahmad Mattar, che si proclama vicino al Partito di unità popolare, mette in rilievo «l’incapacità dimostrata dai partiti di sinistra di rinnovare il loro modo di fare politica mantenendo saldi allo stesso tempo i principi fondamentali in cui credono». I leader sono rimasti gli stessi, sottolinea, «sono persone ormai anziane che dovrebbero lasciare spazio ai più giovani». La questione palestinese resta il caposaldo della battaglia politica. «I diritti dei fratelli palestinesi sono sacrosanti e dobbiamo portarli avanti con la fermezza di sempre – afferma Masoud Dabbagh – tuttavia sono ancora il motivo principale dei nostri appelli alla mobilitazione popolare. Quando organizziamo raduni sulla Palestina vediamo una partecipazione massiccia – spiega Dabbagh – invece quando la nostra iniziativa politica tocca temi interni alla Giordania le presenze sono scarse, specialmente tra i più giovani. Su questo la sinistra giordana dovrebbe riflettere e comprenderne le ragioni».