Le recenti elezioni in Gran Bretagna, si erano configurate, fin dall’inizio, come referendum sulla Brexit.

A causa del sistema maggioritario uninominale inglese, il loro risultato nettamente favorevole ai conservatori, in grado di drenare da soli il voto dei ‘leavers’ (questa volta poco meno della metà degli elettoti), era scontato. Per i laburisti, incerti sulla posizione da prendere e costretti a fronteggiare la concorrenza dei liberal-democratici e dei nazionalisti scozzesi nel campo dei ‘remainers’, la disfatta era altrettanto certa.

Le cose sarebbero andate diversamente se i laburisti della ‘working class’ del nord avessero votato per i loro reali interessi e non per la Brexit e i conservatori favorevoli all’Europa avessero votato contro i loro privilegi certi di oggi per gli interessi incerti del loro paese nel futuro.

Così non è stato, né sarebbe potuto essere. Per motivi squisitamente psicologici.

In condizioni di grande precarietà sociale, che destabilizza emotivamente, seppure in modi diversi, i privilegiati come i diseredati, la paura (di perdere i loro privilegi i primi, il loro posto nel mondo i secondi) cerca soluzioni immediate, consolatorie e individua obiettivi inevitabilmente fuorvianti.

Alla paura direttamente legata alla precarietà della propria posizione sociale si aggiunge un’altra che la rinforza. La paura di essere sopraffatti dalle emozioni che la precarietà determina perché mancano le condizioni che consentirebbero la loro gestione proficua: elaborare la rabbia, facendola diventare rivendicazione costruttiva, realizzare un lavoro di lutto che spinge alla trasformazione trovando nuove possibilità, usare la delusione per creare un rapporto più maturo con la realtà.

La paura di non poter gestire i propri sentimenti e di perdere il proprio equilibrio psichico favorisce la mistificazione.

Sul piano individuale si attiva uno stato di vigilanza combattiva e antidepressiva della struttura psico-corporea. Sul piano collettivo si configura un assetto emotivo estremamente semplificante, “basico” (Bion) che produce un senso di sicurezza fondato sulla dipendenza da una figura carismatica, scarica le tensioni (secondo lo schema di attacco o fuga) con comportamenti di rigetto nei confronti dell’altro (che diventano più estremi quando quest’altro è più vicino a sé) e trasforma l’investimento del futuro in attese messianiche (configurando un mondo di relazioni endogamiche il cui scopo è quello di creare una razza eletta). Questa involuzione implica il diniego delle paure reali perché si tiene in piedi solo da paure adatte a sostenerla, necessariamente false.

La sinistra non può affrontare un assetto psicologico di massa di questo tipo cercando semplicemente di far conoscere alla gente la verità. Deve rimuovere le cause che lo creano.

Il vero, grave errore di Corbyn è stato quello di accettare le elezioni anticipate in un clima avvelenato, piuttosto che darsi tempo perché la contraffazione della verità da parte dei conservatori si sgonfiasse.

È tempo che la sinistra impari a costruire le sue prospettive strategiche tenendo conto della psicologia collettiva. Di questa psicologia la destra usa da sempre gli assetti difensivi, (il più delle volte determinati dagli esiti fallimentari delle sue politiche). Li manipola, per costruire le sue tattiche che in fondo sono anche la sua strategia (lasciare tutto com’è sul piano dei rapporti di potere). Il programma di Corbyn, programma di civiltà in un mondo di un pragmatismo cimiteriale, potrebbe diventare una prospettiva di lavoro. Dimostrare che Johnson è un mistificatore non è servito a niente a breve termine. Lavorare per bonificare il terreno dove crescono le sue mistificazioni, serve e come.