Dovrebbe essere la giornata risolutiva per i dubbi della sinistra-sinistra romana che cerca un candidato per il Campidoglio ma per ora se ne ritrova tre. Il condizionale è d’obbligo: sulla telenovela circolano boatos e ricostruzioni di fantasia. Oggi però l’ex ministro Massimo Bray e l’ex sindaco Ignazio Marino si incontreranno a pranzo. Incontro «definitivo», assicura chi ha parlato con entrambi. Poi hanno appuntamento con esponenti di Sel. Bray, benché iscritto Pd, è pronto a «mettersi a disposizione» dell’area a sinistra di Renzi. Marino anche; ma ci mette un di più di protagonismo personale. E di rivincita per il ’maltrattamento’ che è convinto di aver subìto dal suo partito. Entrambi sono vicini al presidente di Italiani europei, ragione per la quale sui social circola l’idea che dietro la possibile riunificazione a sinistra c’è «l’ombra di D’Alema»: ma potrebbe anche finire in una deflagrazione.

Fra i due, il terzo uomo naturalmente è Stefano Fassina, ex viceministro di Letta, ex Pd e oggi frontman di Sinistra italiana. Dallo scorso novembre scarpina per tutta Roma da candidato sindaco. Sabato scorso, trascurato dai media («oscurato» dicono i suoi) ha riempito il Teatro Quirino per lanciare il programma de «La meglio Roma», slogan della sua corsa. Ma i giochi sul suo nome non sono ancora chiusi. Non del tutto almeno.

Tant’è che ieri il presidente Pd Matteo Orfini – alle prese con presunti brogli alle primarie napoletane e con qualche incongruenza anche nel voto romano, come il «mistero» delle quasi 3mila schede bianche che incuriosisce detrattori e militanti – si è tolto lo sfizio di suggerire a Fassina di passare anche lui per i gazebo: «Credo che il mio amico Fassina capisca oggi perché gli suggerivo di fare le primarie: quando una candidatura la decidono in tre, gli stessi tre possono rimangiarsela qualche mese dopo, come stanno provando a fare con lui, mostrando peraltro una certa ingratitudine».

La battuta non è amichevole. Ma non c’è problema, ha spiegato lo stesso Fassina ieri in Transatlantico: «Se sul progetto messo in campo emergono altre candidature è un fatto positivo, vuol dire che è attrattivo». E nel caso «sceglieremo con le primarie». Conferma un altro ex Pd, Alfredo D’Attorre: «A Roma è in campo la candidatura di Fassina che ha messo al centro una serie di proposte concrete per la Capitale. Se ci sono altre personalità che danno disponibilità a misurarsi, come l’ex ministro Bray, metteremo in piedi un meccanismo serio di scelta democratica attorno a un programma condiviso e alla figura più adeguata a rappresentare quel programma. D’altronde l’assurdo delle primarie Pd è proprio il fatto che si sono svolte attorno a un vuoto di proposte».

L’allargamento dell’area della sinistra radicale ad altre personalità in uscita dal Pd sarebbe in ogni caso alle porte. Ieri Paolo Cento, segretario romano di Sel, ha parlato del varo di «un laboratorio per un’ampia coalizione civica, una coalizione larga, democratica e di sinistra capace di aggregare i tanti elettori delusi dal Pd. La candidatura di Fassina ha aperto uno spazio pubblico di iniziativa che può coinvolgere uno schieramento ampio da Marino a Bray e nei municipi tante associazioni e comitati di base».
L’eventualità che Bray passi oltre le linee sinistre del Pd e approdi nel campo (un tempo) vendoliano comincia ad agitare il partito del Nazareno. Che moltiplica gli appelli alla lealtà. Gianni Cuperlo propone «una federazione» dentro e fuori dal Pd ma una lista ’di sinistra’ in appoggio al candidato Roberto Giachetti. Che a sua volta è netto contro l’ex ministro: «Avevo auspicato che Bray partecipasse alle primarie, la sua risposta è stata che non voleva fare una candidatura divisiva. C’è una tentazione costante nella sinistra di far perdere il centrosinistra. Ora non capisco come farebbe a non essere divisiva. Ma a questo punto, un’altra candidatura non ha alcuna speranza: ha solo la possibilità di decidere che al ballottaggio ci vanno M5S e centrodestra».