Altre divisioni si annunciano a sinistra. Con Diem25 o con Dema, con una sinistra radicale o con un fronte liberal-democratico oppure, più in generale, europeismo o sovranismo o una delle tante sfumature tra euroscetticismo e rossobrunismo.

Le prime divisioni guardano alle vicine elezioni europee, le seconde, con i loro «ismi» guardano ancora più lontano ed aspirano alla dignità di posizioni strategiche, di campi ideali. Orientarsi non è semplice perché è in corso un processo di accumulo, di sommatoria di fattori disgreganti che mette in discussione tutto. Il rinculo di una globalizzazione, che non sopporta le contraddizioni che essa genera nei movimenti di capitali, merci e persone, produce paure e chiusure crescenti. In una Europa che si è allargata troppo, a paesi molto diversi e non è riuscita ad emergere come potenza autonoma nel nuovo scenario geopolitico, queste paure si sono amplificate. In Italia sono esplose.

QUI GLI ERRORI DI PARTENZA e di percorso sul cambio lira-euro e, soprattutto, sul mancato avvicinamento iniziale dei debiti – magari con un doppio binario tra parte a carico del singolo Stato e parte condivisa – stanno producendo i loro effetti nefasti. Una partenza con un handicap di ben 80 miliardi l’anno di spesa per i soli interessi sul debito ed un cammino rallentato da pesanti politiche di austerità adottate proprio nel mezzo della più grande crisi dal dopoguerra hanno generato una equazione: Europa uguale prigione. E prigione a vita, con scarsissime possibilità di ottenere uno sconto di pena per comportamenti austero-virtuosi, visto che nessun governo riesce ad alleggerire il debito.

MA NOI SIAMO UN PAESE che accanto ad un debito pubblico elevato ha anche un debito privato basso e risparmi elevati (oltre ad un patrimonio storico dal valore unico al mondo); un paese, quindi, con una rete di garanzie meno drammatica di quanto sembra se si tiene conto solo del debito pubblico. E questa è una contraddizione che le persone avvertono e che alimenta forti sentimenti di vittimismo ed antieuropei.

IN QUESTO CLIMA, POI, la sensazione che, in questa Europa, questa Italia non ha possibilità alcuna di fare né politiche di sviluppo né politiche di redistribuzione, sta determinando una vera e propria mutazione antropologica della politica. Niente più strategie di medio – lungo periodo, rinuncia della politica alla sua funzione di guardare al futuro, competizione sull’oggi alla ricerca del consenso reso più mobile dalla crisi delle ideologie, quindi, competizione nel campo ristretto dei sentimenti quotidiani influenzati dalle cronache, ricerca di nemici da additare, vicini, lontani e soprattutto deboli. Così, la politica, campo in cui si dovrebbe pesare per la forza delle idee e dei soggetti sociali che si rappresentano, cede il posto ad un neo-contrattualismo d’accatto permanente, ad una competizione ad horas, in cui contano solo l’urlo e la minaccia, per contrattare, per poter dire che quel poco che si strappa è merito proprio, ed il molto che manca è colpa degli altri, che siano Europa, o vecchie forze o migranti. Una politica win win: il consenso di oggi si incamera ed il nemico rimane per accrescerlo domani.

DA QUI LO SPETTACOLO, ridicolo, ma di grande impatto mediatico, della guerra dei decimali di deficit da strappare, lo scalpo da mostrare ai propri elettori urlando vittoria. Un decimale strappato diventa come un gol realizzato e la democrazia esercizio di tifoseria. Povera politica, in una povera Italia. E povera anche la sinistra, come avrebbe aggiunto un vecchio canto popolare!

Non so se si chiamerà sinistra quella che verrà dopo questo ciclo che speriamo duri poco, se è vero che in un contesto deideologizzato i cicli politici si accorciano. Penso che essa o qualcosa che le somigli potrà nascere solo se da subito ci facciamo alcune domande ed insieme cerchiamo le risposte. Di fronte alla crisi di fiducia è possibile e come creare forme di partecipazione dei cittadini europei alle scelte comunitarie in modo da avvicinarli alle istituzioni e ridurre la sensazione di essere stati espropriati? Ed è possibile, al livello intermedio degli Stati nazionali che rimangono, creare spazi di partecipazione che i cittadini possano sentire come propri senza cadere nell’illusione di destra del ritorno agli stati sovrani? E tutto questo non implica una ridefinizione di ruoli e poteri tra livello statuale e livello europeo, quindi una nuova Europa? E in Italia, col debito pubblico che abbiamo e con le previsioni che non ci sarà sentiero di crescita in grado di assorbirlo, si può prescindere da un riesame del problema debito schivato con i vincoli del trattato di Maastricht?

E VISTO CHE IL DOCUMENTO Savona presentato dal governo ripropone il tema della ristrutturazione del debito spalmandolo nel lungo periodo, non sarebbe il caso che la sinistra costruisse un dialogo su questo terreno? E l’idea di una moneta fiscale temporanea per dare ossigeno alla domanda e ad investimenti non dovrebbe quantomeno essere presa in considerazione? Insomma si possono utilizzare i prossimi mesi per ragionare su queste ed altre domande spostando l’attenzione dalla prigione del presente? Facciamo attenzione: mentre noi ci attardiamo, la destra vera, quella dei poteri economici e finanziari prepara il suo futuro tornando al passato con nuovi equilibri. E non credo che questo pericolo si possa combattere solo parlando di schieramenti ed alleanze tra i vecchi protagonisti dell’Europa che fu.