Il dibattito che si sta sviluppando nei comitati Tsipras e dintorni in vista dell’appuntamento del 19 luglio è intenso e articolato e certamente non potrà essere rappresentato nella sua pienezza né concludersi in quella scadenza.

Avere un tempo lungo per discutere scambiando esperienze, saperi e punti di vista significa anche individuare obiettivi che favoriscano questo processo e costruiscano un’ampia partecipazione. Siamo in una fase potenzialmente espansiva che non ha caratteri dirompenti,ma segue ancora il ritmo lento di una salita.

Che molti e molte riflettano e prendano la parola sul che fare dimostra la permanenza tenace della volontà di continuare questa esperienza, non concepita come pura aggregazione elettorale, appendice di una pur importantissima rappresentanza nel parlamento europeo necessaria per fermare l’austerità , lo strapotere della finanza, la distruzione del welfare e dei diritti del lavoro, insomma quella politica delle larghe intese che oggi Renzi conferma nella sostanza, pur rinnovando (con una buona dose di demagogia) non pochi elementi del suo vocabolario comunicativo. Infatti l’Altra Europa con Tsipras è stata percepita da attivisti ed elettori, anche se da punti di vista diversi, come uno spazio pubblico nuovo, inedito non solo perché fuori dal sistema dei partiti e dal bipolarismo mediatico Renzi-Grillo, ma in quanto una nuova occasione per la disastrata sinistra italiana.

C’era insomma un investimento emotivo e politico che andava al di là del risultato elettorale e che si è percepito negli ultimi giorni della campagna anche nella bellissima piazza di Bologna al comizio finale di Tsipras .

Vale la pena di indagarne meglio le ragioni: tenere insieme chi ci ha dato credito e fiducia è una prima dovuta attenzione e premessa necessaria per espanderci, attirare alla partecipazione tutti quelli che ci hanno guardato con interesse e simpatia( la nostra potenzialità era assai oltre il risultato finale), ma alla fine non si sono fidati, hanno sospeso il giudizio su di noi, pensavano che non ce l’avremmo fatta, tutti ancora forse condizionati dal mortale senso di sconfitta e d’impotenza che dal 2008 affligge la sinistra italiana.
Ma perché c’è l’abbiamo fatta? Qual è stato l’elemento decisivo?

Non certo il metodo, non solo per le critiche e i dissensi che ci sono stati per il procedere dall’alto, ma perché se anche così non fosse accaduto, le innovazioni nel metodo cominciano ad essere percepite a livello d’opinione pubblica solo quando diventano pratiche lungamente consolidate.
Nel poco tempo a disposizione hanno convinto la collocazione politica, la sua motivazione e la chiarezza del programma per uscire in Europa dalla gabbia dell’austerità : fuori dalle larghe intese, ben consapevoli delle conseguenze della crisi tramite il riferimento alla Grecia, con un legame diretto con un giovane politico, Tsipras , che ha unito la sinistra, ha detto no alla Troika e che dall’alleanza con i paesi del Sud propone un’altra Europa.

E in questa prospettiva la convinzione o la speranza che un’inedita unità larga della sinistra politica e sociale, abbandonate sterili contrapposizioni e divisioni, potesse garantire una rappresentanza autonoma e alternativa in Europa oggi e un’analoga nuova soggettività della sinistra in Italia nella fase successiva. La scelta di entrare nel Gue insieme al gruppo della Sinistra Europea è suonata come conferma di questa prospettiva.

Chi sapeva della nostra esistenza (30%dell’elettorato?) coglieva questo profilo politico e la sua carica innovativa e di rottura , un investimento per il poi.

Ciò che è nato è fragilissimo: fuori di noi ci sono molti nemici. Come siamo stati oscurati e bistrattati nella campagna elettorale, così oggi ci sono molti interessati alla marginalizzazione e alla chiusura di questa esperienza che è l’unica novità italiana nel quadro delle elezioni europee. E’ fragilissimo per le tante diverse sensibilità dei soggetti entrati nel percorso unitario, i cui principali nemici, stavolta interni, sono le forzature e le contrapposizioni, da evitare quindi in tutti i modi

Ciò non può, però, significare unanimismo,mancanza di chiarezza o tradursi in immobilismo. Ogni accelerazione organizzativa che voglia costruire un nuovo partito è una forzatura divisiva. Ma se qualcosa è nato è giusto che abbia almeno un nome condiviso: lo potremmo definire un movimento politico che a partire dagli impegni e dal programma elaborato per l’Europa vuole costruire in Italia una soggettività organizzata, democratica e plurale, la sinistra insomma , autonoma e indipendente, alternativa alle larghe intese, consapevole che il centrosinistra è morto da tempo, o almeno da Renzi in poi.

E saranno la collocazione e le battaglie politiche e sociali sulle quali impegnarsi in questi mesi che caratterizzeranno il profilo della sinistra italiana e la sua attrattività….che permetteranno o meno di allargare la partecipazione ai comitati, oltre gli attivi attuali, ai tanti che finora si sono limitati al consenso elettorale. Quindi l’oggetto del dibattito nei comitati dovrebbe essere di più il profilo politico e l’efficacia del fare che il metodo.

Come si decide tutto questo in un movimento nascente è dunque un problema importante ma non può essere risolto in modo astratto, ma sempre collegato all’oggetto della decisione. Un movimento che pone tra le sue battaglie quelle per la difesa della democrazia e contro la passivizzazione di massa prodotta dalla “rivoluzione restauratrice” non può che ispirarsi a forme democratiche e partecipative. Una testa, un voto è la regola giusta.

Dire ciò in questo contesto significa soprattutto che le forze politiche che hanno dato un contributo a questa avventura cedono un pezzo della loro sovranità al nuovo movimento politico, rifuggono da ogni logica pattizia di accordi di vertice e ritengono che i loro militanti sono costruttori di questa sinistra come singoli.Si parte tutti alla pari.

Questo approccio non è un’utopia, ma è una prassi già consolidata nella costruzione della Izquierda Unida spagnola. E’ questo, specialmente per quanto riguarda le forme organizzative, un obiettivo cui tendere, non potendosi immaginare oggi la costruzione di un soggetto politico sottoponendolo di continuo al confronto maggioranza-minoranza che può produrre divisioni e abbandoni. Per un lungo periodo e per una serie di questioni bisognerà avvalersi del metodo del consenso, ricercare decisioni che tengano in considerazione anche le argomentazioni di chi non è d’accordo.

Per evitare, però di cadere nel verticismo o nell’immobilismo sarà necessaria una grande duttilità da parte di tutti e occorrerà che, specie sulle scelte politiche, si riponga fiducia nel pronunciamento degli attivi, come si è fatto sul nome della lista, assumendone il parere come vincolante. Sarà necessario ridefinire le modalità per stabilire la platea degli aderenti al progetto: forme leggere per un progetto in cammino.

*Esecutivo sinistra europea, Segretario regionale Lombardia