Se alle parole corrispondessero i fatti non solo quando si tratta di dire sì al Tav, sì all’abolizione dell’articolo 18, sì ai respingimenti degli immigrati nei lager libici, allora si potrebbe giudicare interessante l’impegno del segretario del Pd di avviare una svolta social-ambientalista per farne l’asse portante di un congresso non «per un nuovo partito, ma per un partito nuovo».

Tuttavia, i buoni propositi hanno bisogno di nuove teste e nuove gambe per trasformarsi in progetti e programmi di ricostruzione, sopratutto dopo il lascito distruttivo della grande crisi economica, e di fronte agli scenari internazionali di guerra, ai continenti in fiamme.

Non è facile scommetterci, ogni pessimismo è legittimo, ma per chi crede nella possibilità di rimettere in piedi un paese con le gomme a terra, è persino obbligatorio provarci. E va dato atto a Zingaretti di aver onestamente difeso la scelta, sua e della maggioranza del Pd, di dare vita a un governo di salvataggio del paese dal plebiscito di Salvini. Che, a ben vedere, è la vera discontinuità con gli orribili mesi della caccia al nero, della flat-tax, della secessione dei ricchi, della propaganda, dei comizi permanenti.

Del resto una analoga intenzione di avviare un processo di revisione del Movimento è in corso tra i pentastellati alle prese con una mezza rivoluzione non solo su leadership e democrazia interna ma più in profondità sulla natura, sull’identità di una forza politica passata dall’opposizione al governo. Non sappiamo se verrà abbandonata la «terza via», né di destra, né di sinistra, che giustamente il sociologo De Masi mette in discussione perché nel momento in cui le diseguaglianze zavorrano la stessa tenuta democratica della nostre società con l’evaporazione del ceto medio, «non resta che la contrapposizione frontale tra neoliberismo e socialdemocrazia», e dunque anche i 5Stelle devono dire da che parte della barricata stanno.

Gli Stati Generali convocati per metà marzo dovrebbero servire proprio per definire una linea politica.

Si tratta di capire l’orientamento rispetto all’alleanza di centrosinistra, per discutere della separazione tra cariche di governo e ruoli di partito, a togliere il tappo del capo politico per allargare il gruppo dirigente, a sganciarsi dal controllo della Casaleggio Associati, a dare seguito alle richieste che arrivano dall’interno del Movimento di un’apertura a nuovi soggetti sociali e intellettuali. Neppure in questo caso è legittimo nutrire facili illusioni: gli opportunismi, le pessime scelte sull’immigrazione e il virus dell’antipolitica sono e restano difficili da smantellare, nonostante le esortazioni di Grillo a voltare pagina.

Naturalmente il cambiamento enunciato dal segretario del Pd così come quello che coinvolge i 5Stelle, sono strettamente intrecciati con il futuro del governo, con la capacità di cambiare oltre al linguaggio anche l’agenda su cui impegnare la legislatura. Perché, come è evidente, sia il Partito democratico che i pentastellati sono due forze politiche ammaccate (chi da due scissioni, chi da abbandoni a catena), reduci da politiche sbilanciate a destra per la maggior fortuna di chi la destra la interpreta al meglio come Salvini, Meloni e Berlusconi.

Ma se questi processi di ripensamento, pur dall’incerto futuro, sono in atto nel Pd e nei 5Stelle, la sinistra/sinistra sembra invece riflettere lo status quo delle sigle partitiche, delle autoreferenzialità, delle indiscutibili identità pregresse. Nulla si sta muovendo a sinistra del Pd, nessun protagonista di questo non marginale spazio politico sta offrendo segnali utili a un ripensamento generale sul proprio ruolo.

Non si chiede peraltro di rinnegare nulla, ma di rinnovare tutto (presenze sociali, territori culturali, battaglie internazionali) e puntare su ciò che può unire quest’area politica, rinvigorire le sue sparse membra per tornare a offrire una voce autorevole e una rappresentanza credibile.

Oltretutto ovunque nel mondo donne e uomini sono in campo con movimenti di grande impatto, novità e visibilità. E non esiste certo un destino cinico e baro che obblighi la sinistra in Italia a sopravvivere all’insignificanza impedendole di tornare a vivere e a contare.

Ma servono uomini e donne che con coraggio, determinazione e idee siano in grado di dare una risposta diversa da quelle che sono in campo. Se non altro per rispetto di quei due, tre milioni di elettrici e di elettori che aspettano da anni una forza di sinistra non più minoritaria.