Il lavoro al centro, in questo caso di un’assemblea a Genova, organizzata da Liberi e Uguali. Un incontro caratterizzato dalla decisione, finalmente senza remore, di metter radicalmente in discussione non solo l’operato di Renzi.

Non solo una condotta di governo ma l’intera logica di sostanziale acquiescenza al neo liberismo globale e all’ordo liberismo tedesco, imposto all’Europa. Dunque un tema e un problema che ha caratterizzato la politica dei governi italiani negli ultimi vent’anni.

C’erano, ed e una bella novità, molti iscritti alla Cgil, per lo meno a livello dell’apparato e dei gruppi dirigenti della Cgil genovese. Dal segretario della Camera del Lavoro, Ivano Bosco, è venuto l’allarme per l’isolamento politico in cui si sono trovate le battaglie sulle vertenze per la difesa dell’apparato industriale della città, sia a livello nazionale che locale, anche quando le istituzioni genovesi erano governate dalla sinistra. E anche per questo ha voluto sottolineare quanto sia «vitale per la Cgil la nascita di una forza politica che faccia del lavoro la sua priorità».

Tutto bene, e le cose dette che ci si augura trovino piena applicazione nel programma di LeU erano tutte giuste. Tuttavia non c’era in quella sala quella parte del mondo del lavoro la cui assenza segna anche la crisi di rappresentanza del sindacato confederale. Non c’erano i giovani disoccupati, e quelli che si sbattono nei mille lavoretti, l’unica cosa che questo sistema è in grado di offrire. Non c’erano i lavoratori delle ditte d’appalto, italiani e stranieri, non c’era la parte del mondo del lavoro a cui l’organizzazione collettiva dei propri interessi sembra un miraggio. C’erano i rappresentanti della parte centrale del mondo del lavoro, quella che elegge ancora le Rsu e trova le controparti con cui negoziare. Non c’erano quelli costretti a fare gli imprenditori di se stessi, né i lavoratori degli appalti, che spesso sono la condizione a cui quella parte centrale deve la propria stabilità.

Per colmare questa reciproca mancanza, alla base sia di gran parte dell’astensionismo elettorale che delle difficoltà sempre più grandi del sindacato confederale, c’è bisogno probabilmente di scavare un po’ più in profondità. Si potrebbe prendere ad esempio la questione dei posted workers, i lavoratori delle ditte d’appalto pagati con i contratti dei Paesi in cui risiedono le ditte, quelli che lavorano in Italia con contratti bulgari o rumeni. Possibilità che il programma di LeU si propone di abrogare. Ma credo che occorra scavare nelle contraddizioni che questa possibilità ha aperto tra le persone in carne ed ossa.

Nella cantieristica, un settore che sembra uscito dalla crisi e a prevalente partecipazione pubblica, ormai i lavoratori direttamente dipendenti sono più o meno un terzo di quelli che lavorano nei cantieri. Il resto sono posted. Ed è una difficoltà enorme, per ora irrisolta, far parlare tutti insieme quei lavoratori, non solo perché c’è una legge europea che permette quella frammentazione, ma anche perché i lavoratori stabili hanno trovato una loro convenienza in quella situazione. Il feroce abbattimento del costo del lavoro ha permesso insieme il risanamento economico dell’azienda e garantito la loro stabilità.

Nel corpo centrale c’è un livello di sindacalizzazione altissimo, nelle ditte d’appalto che prendono i lavori al massimo ribasso il sindacato è pressoché assente. Ed esempi analoghi di potrebbero fare per la logistica, dove una barriera divide i lavoratori contrattualizzati dai disperati che ogni tanto con le loro lotte, alcune finite tragicamente, conquistano un loro spazio e una loro visibilità. Ci sono è vero specialmente tra i giovani sindacalisti confederali molti che hanno fatto dell’abbattimento di queste barriere una missione della loro vita, ma non mi pare che oggi sia questa la cifra che rappresenta l’insieme della confederalità.

Il giorno prima di questa assemblea, sempre Genova se ne era tenuta un’altra di “Potere al popolo”. Più o meno lo stesso numero di persone, ma l’età anagrafica visibilmente più giovane. C’erano i centri sociali, e i militanti dei sindacati di base, dell’Usb in primo luogo, che sono poi gli stessi che hanno gestito la manifestazione di sabato a Roma in cui tanti lavoratori degli appalti, tanti miserabili imprenditori di se stessi, hanno sfilato con i senza casa, i poveri delle periferie, in un corteo di tanti colori e nazionalità.

Oggi il sindacalismo autonomo da organizzazione degli interessi forti che affermano se stessi a partire dal loro potere contrattuale – i macchinisti dei treni furono l’origine, i piloti degli aerei il presente più evidente – , si è trasformato, nelle sue componenti più in crescita e più generose, in sindacato dei più poveri e dei più deboli, raccogliendo consensi fra quanti il sindacato confederale non riesce a rappresentare. C’era anche in questo secondo incontro un po’ di ceto politico che gioca ad approfondire la contraddizione per salvare se stesso, e pur tuttavia per ricostruire una sinistra sociale e politica quel mondo è decisivo. Lo è per indagare, per risolvere le contraddizioni che rendono difficile al mondo del lavoro di ritrovarsi insieme.

In molte delle Assemblee del Brancaccio in giro per l’Italia i quadri della Cgil e quelli del sindacato di base hanno discusso insieme. Il tentativo di costruire dal basso la coalizione civica nazionale ed un’unica lista della sinistra era anche un tentativo di riunificazione sociale del mondo del lavoro. Ora il rischio è che le due liste elettorali ossifichino le differenze. Credo sia compito di chi non si rassegna alla divisione, non tanto delle sigle ma dei popoli della sinistra, impegnarsi perché ciò non avvenga. C’è in questa direzione tanto lavoro da fare, prima delle elezioni e soprattutto dopo.