Probabilmente consapevole di aver commesso un errore mediatico serio con lo stillicidio delle nomine, subito dopo l’insediamento al Campidoglio, Virginia Raggi ha sostituito tempestivamente l’amministratore unico di Atac. Ha garantito alcune decisioni importanti, come quella sugli stipendi d’oro, a strettissimo giro e, a porte chiuse, avrebbe anche detto che all’origine della crisi c’è il fatto che «diamo fastidio ai poteri forti».

Ma lo ha affermato solo di fronte alla giunta, mentre secondo la versione ufficiale, e del tutto incredibile, tutto, come in una demenziale catena di sant’Antonio, è dipeso dalla scelta di revocare l’incarico di capo di gabinetto a Carla Romana Raineri, non per questioni politiche ma su spinta dell’Anac. Le altre dimissioni sono state conseguenti, e si sono per coincidenza intrecciate con quelle dei vertici Atac, dovute invece a non sufficientemente chiarite divergenze con la sindaca e l’assessora ai trasporti Linda Meleo. E’ un alibi fragile che induce una sensazione di opacità opposta quel che l’M5S ha sempre promesso: la massima trasparenza.

In queste tenebre fioriscono interpretazioni poco lusinghiere: lo scontro di potere nel Movimento e quello interno alla Giunta. Tutte ipotesi probabilmente parzialmente vere ma che, messe così, somigliano a un giochino di potere degno della Dc nei suoi momenti peggiori. Resta oscuro e anzi neppure nominato il punto chiave: su cosa le “squadre” si sono scontrate, quali sono state le opzioni di merito rivelatesi inconciliabili. Pare evidente, data la sincronia perfetta tra le dimissioni, anzi le defenestrazioni, degli assessori e quelle dei vertici Atac e Ama, che il nodo sta proprio lì: nella situazione disastrosa delle due partecipate responsabili delle voci che buona parte dei romani mette in testa alla lista delle emergenze, i rifiuti e i trasporti.

Che sul fronte dei rifiuti sia in atto una guerra spietata ma sotterranea pare evidente. Manlio Cerroni, il “Supremo”, signore della spazzatura in mezzo mondo, ha visto la sua ciclopica Malagrotta meritoriamente chiusa dall’ex sindaco Ignazio Marino. Però ha mantenuto il controllo degli impianti del Tmb, Trattamento meccanico-biologico, quelli che separano l’umido dal secco e il riciclabile dal non riciclabile: in concreto la base stessa della gestione dei rifiuti. Cerroni li ha usati palesemente per preparare la controffensiva. Sin dai tempi non lontani della giunta Marino i Tmb hanno funzionato a rilento, si sono guastati con frequenza sconcertante, hanno richiesto tempi abnormi per le riparazioni. Il risultato lo hanno visto tutti solo a passare di fronte a un cassonetto della Capitale.

Il trasferimento all’estero dei rifiuti, del quale si sarebbe dovuta occupare la ditta tedesca Enki che aveva vinto l’appalto nel febbraio scorso, si è bloccato, non si sa perché, in Regione, e in questo caso il risultato è stata la crisi di luglio, nella quale Cerroni è tornato in scena alla grande. Tra gli incontri segreti col Supremo degli esponenti a 5 stelle e le pressioni dell’assessora all’ambiente Paola Muraro, l’ipotesi era quella di affidare la faccenda al tritovagliatore di Rocca Cencia, che fa più o meno le stesse cose degli impianti Tmb ma a differenza di quelli non a prezzo fissato in anticipo dalle tabelle regionali. La crisi costruita ad arte di luglio è stata risolta con successo dalla sindaca, ma è evidente che la partita non è affatto chiusa, e anzi proprio questa era la priorità sulla quale si muovevano in tandem l’assessore al Bilancio Marcello Minenna e l’amministratore Ama Alessandro Solidoro, prima delle loro dimissioni arrivate giovedì.
Il conflitto con i vertici Atac, a sua volta, è stato provocato da diversi motivi, ma quello principale è senza dubbio la bocciatura sul piano industriale dei vertici dell’azienda, fondato sulla dismissione di una parte del patrimonio, appunto bocciata dalla sindaca Virginia Raggi.

Con ogni probabilità i conflitti a Roma non sono dipesi solo da un vuoto e desolante scontro di potere tra un assessore al Bilancio troppo potente e una sindaca che giustamente ci tiene a essere padrona in casa propria, ma da diverse opzioni strategiche, e probabilmente anche dal conflitto tra diversi e potenti interessi in campo, a fronte di emergenze gravissime. Virginia Raggi avrebbe tutto l’interesse a dirlo chiaramente. A porte aperte.