Il sottotitolo del nuovo libro di Giuliana Sgrena si apre con la parola «donne» perché è alle proprie simili che vengono dedicate intense pagine di analisi critica. Ed è a loro che sono state rivolte negli anni le manipolazioni peggiori da parte di molta stampa causando le cosiddette «narrazioni tossiche». Il tema tenuto tra le mani da Sgrena è infatti intrecciato con ciò che accade nei media, quando per esempio si deve scrivere di un femminicidio, ma soprattutto la modalità con cui sono state trattate le notizie più recenti in capo alla violenza maschile e alle molestie. Ed è proprio il «trattamento» ciò su cui Sgrena si concentra perché non è mera forma del mestiere giornalistico ma sostanza politica di ciò che si vuole rappresentare. Il Manifesto per la verità si apre con un denso capitolo dedicato alla questione del #metoo seguito nel dettaglio attraverso la vicenda che ha riguardato Asia Argento. A distanza di mesi, rileggere quei passaggi concitati di accuse, giudizi, retromarce e ancora strali, consente di osservare l’esito di una distopia – ben nota, invero – per cui chi avrebbe dovuto dimostrare la veridicità di quanto andava affermando era chi aveva trovato il coraggio di mettere in parola quanto le era capitato.

In tal senso, è esemplare l’utilizzo distorto delle dichiarazioni di Asia Argento, dileggiata in tanti modi possibili (ma anche sostenuta da altrettante sorelle e donne che l’hanno accolta con sé). A emergere è stato tuttavia un nodo meno attraente quando si convoca il rapporto con la «verità», là dove il vero è, per dirla con Debord, «un momento del falso», poiché lo è non solo «nel mondo realmente rovesciato» ma in una nervatura ancora più nascosta, cioè la relazione con la parola esperienziale delle donne. Perché quella parola si eleva sopra e al di qua di qualsiasi presunta costruzione manipolativa, è logos incarnato e in quanto tale resiste.
La pervicacia nel ridurlo a chiacchiericcio ha l’intensità del suo carattere sovversivo, dalla faglia prodotta dal femminismo in avanti. Alla diffusione turbinosa e propagandistica di fake-news, vi è stata dunque la propagazione, altrettanto virale e inarrestabile, della parola delle donne. Si intuisce anche leggendo il libro di Sgrena, quando articola ciò che è accaduto in Cina, Pakistan, Iran, in particolare sul caso Tariq Ramadan e altri. Seguire il tenore di questa parola, intenderne il movimento sarebbe utile, perché sta lì la capacità di scardinamento che ha avuto, in questa vicenda come in altre, nonostante tutti i tentativi di cancellarla o mistificarla. La differenza sta nel punto di verità che quella parola riesce a toccare, non quando si adegua ai fatti ma quando è sincera. Credere a quella parola e darne conto non è solo un lavoro giornalistico né un atto di fede, piuttosto una scommessa politica più grande, di libertà e giustizia di sé.