Può suonare retorico dire che oggi la Grecia sarà teatro di un avvenimento storico. Ma così è. Il risultato del referendum influirà sul futuro stesso dell’Unione europea e su quello di uno dei paesi più piccoli della Comunità.

E proprio questa particolarità merita una prima riflessione. Come è possibile che un paese tanto piccolo possa, non dico tenere in scacco, ma condizionare il domani di altri 27 stati? Non è strano che il voto di dieci milioni di persone possa influire sulla vita di altri quattrocento? Lo sarebbe se questa vicenda non rappresentasse la quintessenza della globalizzazione.

Dagli Stati uniti alla Cina tutti seguono con attenzione quanto sta accadendo nella terra degli dei dell’Olimpo. Perciò il voto di oggi è qualcosa di più e di diverso della sfida simbolica di Davide contro Golia, anche se la grande disparità di forze può ben suggerire l’accostamento perché in questo cimento del piccolo contro il gigante non sono certo i filistei di Bruxelles ad aver dovuto sfidare nella vita quotidiana gli orsi e i leoni della lunga, infinita crisi che ha buttato donne, uomini, bambini, anziani nella battaglia contro le bestie nere della povertà, della fame, della mancanza di medicinali, della depressione che ha fatto impennare le percentuali dei suicidi.

Il cittadino greco per lunghi anni ha sopportato l’assedio e quando il Golia di Berlino lo ha inchiodato all’ultimo duello, il piccolo Davide ha tirato fuori la fionda del referendum cogliendo tutti di sorpresa.

Atene mette oggi in evidenza non solo la sproporzione delle forze in campo ma le contraddizioni forti e divisive della Ue.

Sono lì a dimostrarlo i politici italiani che, da sinistra a destra – da Vendola a Brunetta a Salvini passando per Grillo – tifano, pur tra molti distinguo, per la battaglia del piccolo Davide. Sicuramente perché molti vorrebbero usare il voto greco a fini di politica interna. E non è curioso che grandi economisti, quasi tutti nobel e liberal si siano pronunciati per il “No”, posizione mal digerita da tutte le grandi firme del giornalismo nostrano, scritto e televisivo?

Abbiamo assistito a una straordinaria opera di manipolazione dell’informazione, particolarmente sfrontata nell’impegno profuso a dare per verità sondaggi smentiti dalle stesse fonti, a censurare notizie importanti, come la critica del congresso Usa, recapitata, nero su bianco, alla signora Lagarde.

Questo voto mette strappa i veli alle magnifiche e progressive sorti della Ue a trazione tedesca. Denuncia il difetto di nascita, una Unione calata dall’alto senza nulla chiedere ai cittadini, contraddicendo lo spirito dell’Europa pensata da Altiero Spinelli.

Scopre un’Unione costruita su un’impalcatura economico-finanziaria che sostituiva alla valvola di sfogo della svalutazione delle monete nazionali l’impressionante svalutazione del lavoro sottomesso alle durissime leggi dell’eterna precarietà.

Tuttavia la tensione e la passione che viviamo nel giorno in cui ci sentiamo tutti greci è così forte non solo perché abbiamo imparato a memoria i numeri del disastro provocato dalla cieca austerità, fino all’ultimo paradosso del mancato rimborso di 1,6 miliardi non pagato da Atene che ha provocato il falò di 287 bruciati dalle borse il giorno dopo. Perché i mercati si erano «spaventati», così titolavano i giornali con la consueta banalità invece di raccontare a lettori e telespettatori l’assurdità della situazione.

E non si venga a dire che tagliando e dilazionando il debito greco verrebbe annullato il principio fondamentale della Ue, cioè il rispetto delle regole.

Se rispettarle significa danneggiare l’intera comunità, allora è solo un braccio di ferro politico quello in corso, una pura guerra di potere con la volontà di arrivare allo scontro frontale.

Ed eccolo lì il nostro Renzi, fin dal primo momento lesto a nascondersi dietro lo scudo tedesco, pronto ad accusare Tsipras di voler tornare alla dracma, non solo una bugia ma una meschineria che spiega molte cose sulla stoffa del personaggio. Naturalmente in ottima compagnia di cuori coraggiosi come Hollande, Gabriel, Schulz…

C’è di più, è in gioco qualcosa di più profondo.

Oltre alla testa, alla razionalità, c’è in ballo il cuore acceso dalla sfida democratica, c’è la lezione di un grande popolo capace di sopportare e tenere a bada la fortissima tensione del momento. Tutti gli italiani, giovani e vecchi, che danno lezioni sulle regole da rispettare sarebbero stati capaci di mettersi in fila così dignitosamente davanti ai bancomat vuoti?

E, infine, nello scontro frontale gioca una partita molto rischiosa anche lo stesso Tsipras.

Aveva già vinto le elezioni con un programma molto chiaro, no all’austerità, sì, moderato, all’Europa. Oggi il giovane leader tenta il tutto per tutto, il numero secco alla roulette, dove i punti quello che hai. Se perdi è un disastro, se vinci sei più forte ma non hai risolto i tuoi problemi. Che sono comuni a molti altri paesi. Italia compresa, come già dice l’Istat a proposito del rallentamento di una ripresa già debolissima.

Da questo punto di vista il voto di Atene ha un significato storico, unico. Nella mitologia greca ci sono numerosi esempi di uomini abbandonati dagli dei. Tsipras deve sperare che gli dei dell’Olimpo – e il popolo greco – oggi siano con lui.