«Una massa di materiale da plasmare, un lavoro creativo. Martin e io non pensiamo affatto che il montaggio sia un’arte invisibile ed è per questo che abbiamo sempre cercare di aumentarne il riconoscimento». Parole che suonano come una dichiarazione poetica quelle di Thelma Schoonmaker, secondo Leone alla carriera della Mostra, dopo il riconoscimento a un altro colosso del cinema americano come Frederick Wiseman. La straordinaria montatrice americana, che da Toro scatenato accompagna ogni film di Martin Scorsese, racconta vita e prime esperienze cinematografiche, poche ore prima la consegna del premio in Sala Grande.

«Mi sono avvicinata al montaggio per puro caso. Dopo un’infanzia trascorsa all’estero, sono tornata negli Stati uniti a 15 anni per poi cominciare i miei studi universitari. Lì, ho conosciuto Martin, era il 1963, e non eravamo nemmeno nella stessa classe. Aveva dei problemi con i negativi appena sviluppati di un suo cortometraggio e mi sono offerta di dargli una mano. Da poco tempo avevo concluso un apprendistato insieme a un regista che aveva messo un annuncio sul New York Times per cercare un’assistente, ma è stato Martin a insegnarmi l’arte di questo mestiere e la sua potenza creatrice.»

Schoonmaker però comincia a lavorare come montatrice di documentari nell’America dei rivoltosi primi anni ’70, esperienza che si rivela preziosa per il suo futuro prossimo: «Ho iniziato la mia carriera come montatrice con i documentari.

Amavo trovare una mia linea personale all’interno di questi lavori, cosa che molti colleghi non amano fare, e sono stata felice di ritrovarla molti anni dopo nei due documentari sulla storia del cinema italiano e americano che ho fatto con Scorsese». Scorsese non si è limitato soltanto ad omaggiare l’amato cinema con i documentari, ma è stato l’artefice della riscoperta americana (e non solo) di due geni del cinema britannico: Michael Powell (che nel 1980 sposò Thelma Schoonmaker, complice il Cupido Martin che li fece conoscere) e Emeric Pressburger:

«Molti conoscono l’amore che Martin nutre per il cinema di Powell e Pressburger. Scorsese e Michael si intesero subito alla perfezione, dopo che Martin gli mostrò Mean Streets, film che amò subito moltissimo. Quando Michael arrivò negli Stati uniti per collaborare alla realizzazione di Toro scatenato, Martin lo accompagnò con gioia sui luoghi del film. Coreografare i combattimenti, questo Martin chiese a Michael ma il contributo di Powell fu ancora più grande: non amava i guantoni rossi di Jake LaMotta e così suggerì a Scorsese di girare tutto in bianco e nero, quasi a voler ricreare la stessa atmosfera degli incontri di box nelle televisioni dell’epoca LaMotta».

Proprio una scena di Toro scatenato è stata proiettata poco prima della consegna del premio: «Quello straordinario momento dove vediamo il combattimento di Jake contro Sugar Ray Robinson con gli occhi della moglie Vickie. Penso che sia uno dei momenti più alti della mia collaborazione con Martin. Il balletto di primi piani con l’emozione sul suo viso e l’idea meravigliosa di usare le voci del vero combattimento poiché nessuno poteva riprodurre la poesia della voce di Jake.»

L’intesa perfetta fra il regista americano e la Schoonmaker non ha mai conosciuto crisi, nonostante le esplorazioni di genere che Scorsese ha intrapreso negli ultimi vent’anni della sua carriera». Ogni film è una sfida diversa. So che tante persone vorrebbero altri cento Quei bravi ragazzi, ma per me e Scorsese è importante reiventarsi continuamente. Come accadde, per esempio, con L’età dell’innocenza, un film diverso, quasi uno spartiacque. Bisognava rallentare il ritmo dei tagli e allo stesso tempo sottolineare, come una stilettata, le terribili regole sociali capaci di distruggere l’autenticità di un sentimento. È un film crudele nel descrivere una società spietata quasi quanto la mafia».

L’intensità della collaborazione fra i due ha permessi pochissimi «sconfinamenti» della montatrice (soltanto con il film di Allison Anders del 1997 Grace of My heart): «Ho lavorato quasi solo con Scorsese per una serie di motivi. Il più importante è che lo ritengo il miglior regista vivente, in più abbiamo sempre avuto la fortuna di poter realizzare tanti progetti, senza mai soffrire troppo a causa dei produttori. È difficile stabilire chi di noi due abbia l’ultima parola sul montaggio; la nostra collaborazione è perfetta, anche perché il dialogo è costante e senza leggi prestabilite. Il nostro rapporto, inoltre, si alimenta anche quando non lavoriamo insieme, discutendo di tanti argomenti ’estranei’ alla nostra professione, come il Papa ad esempio, ma ci piace anche guardare i film trasmessi dal canale Tcm, specializzato in grandi classici della Storia del Cinema, gli stessi film che vedevo da ragazza in tv, quando mai avrei pensato di lavorare nel mondo del cinema».