Non c’era alla riunione del «caminetto» di mercoledì sera, non c’era neanche alla prima assemblea degli eletti del suo partito, ieri pomeriggio all’aula dei gruppi parlamentari. Renzi snobba i suoi, anche se nella enews descrive come false le ricostruzioni del suo lavorìo: «Ogni giorno sono tirato in ballo per tutto. Dalla creazione di una corrente alla creazione di un nuovo partito. Da come farò il senatore a come gioco a tennis. Le ricostruzioni si sprecano e quasi sempre sono fasulle».

SI PRESENTERÀ A ROMA stamattina, nel suo primo giorno da senatore, direttamente a Palazzo Madama. Dopo tre settimane detox lontano dal Nazareno. Ma chi lo dà per politicamente finito non deve farsi illusioni. Il processo di «derenzizzazione» non sarà un pranzo di gala.

IERI, MENTRE IL REGGENTE Martina (che in realà per ora è solo un vicesegretario facente funzioni) e Lorenzo Guerini sedevano al tavolo dei capigruppo pronti a discutere dei presidenti di camera e senato, l’ex leader lanciava la sua enews fra i piedi: «Tocca a M5S e centrodestra fare proposte per le cariche istituzionali, tocca a loro fare il governo, tocca Lega e centrodestra dare risposte agli italiani. Adesso devono solo dimostrare di essere in grado. Lo saranno?».

RENZI DUNQUE È TORNATO. Infatti la tensione interna del Pd è già risalita. Lo dimostra il tono preoccupato di Martina all’apertura della riunione degli eletti: «Siamo dentro un passaggio anche per il nostro partito molto delicato. Dovete farvi carico e dobbiamo farci carico di un lavoro unitario e plurale, consapevoli della delicatezza del momento che stiamo vivendo». Un appello accorato.
II BRACCIO DI FERRO fra M5S e Forza Italiana sulle presidenze delle camere rischia infatti di avere come effetto collaterale la prima divisione del Pd, anche se consumata al riparo del voto segreto. Stamattina i gruppi sono riconvocati alle 9. Dopo il fallimento del tavolo di ieri sera, l’indicazione sarà astensione o scheda bianca. Ma se al senato Berlusconi si intestardisse sul nome di Paolo Romani, molti dem potrebbero votarlo.

SAREBBE LA PRIMA AVVISAGLIA di una divisione destinata a deflagrare martedì prossimo. Quando il Pd aprirà ufficialmente lo spinoso dossier dei propri capigruppo.

I CANDIDATI RESTANO quelli noti: alla camera Guerini, renziano ma dialogante e pontiere da sempre; al senato invece il turbo-renziano Andrea Marcucci. Sul secondo l’area di Orlando è molto scontenta, sebbene scarsa a voti.

Ma il senato sarà il nuovo quartier generale di Renzi, se non il suo bunker. Di lì il «senatore di Lastra a Signa» si assicurerà che il Pd non ceda di un millimetro sulla linea politica da lui dettata il giorno delle dimissioni: «Mi pare che nel Pd siamo tutti d’accordo sullo stare all’opposizione», scrive nell’enews. Ma è sarcasmo: da giorni fra i dem è tutto un fiorire di distinguo.

PER QUESTO GLI SERVE un capogruppo osservante di ferro. Marcucci, appunto, oppure Dario Parrini, altro fedelissimo.Tanto più dopo l’intervista di Luigi Zanda al Corriere della sera. Il senatore ha bocciato senza appello il collega designato: «È necessario trovare un serio e condiviso equilibrio politico nel partito. Non è pensabile che i due capigruppo rappresentino solo l’anima renziana del Pd».
PAROLE INTERPRETATE come una sfida. Alla quale l’ala renziana ha risposto alla sua maniera: «A questo punto siamo persino obbligati a restare su Marcucci». Pronti alla conta interna, certi di vincerla.