In Spagna è in corso un esperimento politico affascinante che ha grandi implicazioni. Il percorso di Podemos – con quello di Syriza – costituisce un riferimento costante per la sinistra europea, per la sua capacità di rappresentare interessi popolari e raggiungere un largo consenso in poco tempo. Non solo per questo motivo, però, è interessante capire quali siano i suoi punti di forza e i suoi punti di debolezza. Questi ultimi mettono anche in luce alcuni dilemmi attuali della politica della sinistra.

Podemos è stato costruito sulla base di una serie di riferimenti: l’Università, la televisione, i movimenti sociali, i governi di sinistra dell’America Latina, i teorici del «populismo di sinistra». Il suo nucleo fondatore è costituito da un gruppo di politologi vicino a sinistra radicale e a i movimenti. Questo gruppo, ponendosi il problema di raggiungere platee più ampie di quelle abituali della sinistra-sinistra, dal 2010 inizia a realizzare programmi televisivi trasmessi da tv locali e canali digitali. Nasce La Tuerka, una Tv on-line che è a tutti gli effetti il predecessore mediatico di Podemos. Le trasmissioni della Tuerka vengono ampiamente diffuse attraverso Internet. Ciò consente alla figura di Pablo Iglesias – il principale ideatore e conduttore delle trasmissioni – di emergere fino ad essere invitato come opinionista nei grandi canali televisivi, dove si conquista una sua personale popolarità. Podemos nasce qui: con l’uso dei media, accademici politicizzati costruiscono un leader politico. La televisione lo consacra.

Il terzo retroterra di Podemos sono i movimenti spagnoli del 2011-2013. Gli Indignados, le mareas e il movimento contro gli sfratti hanno conseguito nella società spagnola un consenso elevato (l’80-90% della popolazione) su temi come il rifiuto del sistema bipartitico, il rinnovamento radicale della democrazia, la centralità dei problemi sociali, la difesa dell’istruzione e della sanità pubbliche, l’opposizione alla finanza e all’austerità. Il consenso di questi movimenti ha convinto i fondatori di Podemos che il tentativo di incrinare il monopolio politico di Pp e Psoe era realistico, e che la Spagna si trovava in un «momento comunista», come lo definisce Iglesias, in cui le identità politiche tradizionali possono essere sovvertite. Il partito adotta le parole d’ordine e le rivendicazioni dei movimenti, costruisce rapporti con molti di essi, ne integra in parte reti e attivisti.

Le esperienze di Chavez in Venezuela, Morales in Bolivia e Correa in Ecuador costituiscono un esempio che indica la strada di una sinistra nazionale (per certi versi, nazionalista e patriottica), popolare, in grado di aggregare e avvicinare ampi strati della popolazione, rinnovarsi, dotarsi di una forte leadership personale e arrivare al governo. Dal punto di vista teorico, i riferimenti principali sono quelli di Gramsci (la teoria dell’egemonia) e Laclau, il teorico argentino del populismo di sinistra, sostenitore della tesi per cui, orfana della classe operaia, la sinistra può aspirare alla vittoria solo abbandonando il discorso di classe e puntando a diventare il principale connettore delle domande e delle esigenze della maggioranza del «popolo».

Questo insieme di influenze ha contribuito a configurare Podemos come partito dotato di un discorso politico che innova e stravolge la tradizione della sinistra europea. Eccone gli aspetti principali. Una maggioranza sociale già esistente nel paese – quella favorevole alle istanze dei movimenti – può essere trasformata in maggioranza politica. Per farlo bisogna dotare il discorso della sinistra di nuovi significati e rivolgersi a una parte quanto più consistente della popolazione: potenzialmente a tutti, escluse le élite politiche e finanziarie. Connotarsi come «di sinistra» è controproducente: il popolo associa i concetti di destra e sinistra al Pp e al Psoe.

Essere la sinistra del Psoe significa chiudersi in un angolo. Non bisogna mai farsi trovare dove l’avversario vuole che si stia, ma disporsi dove gli è meno comodo combatterti: invece che lungo l’asse destra/sinistra, nella frattura tra basso (la gente) e alto (la casta, le banche, i politici, i corrotti). Conquistare la maggioranza politica significa essere in sintonia con il senso comune. Bisogna quindi insistere su valori universalmente condivisi, slegarli dal modo in cui i partiti tradizionali li rappresentano e connetterli a nuove domande sociali. È il caso di concetti come democrazia, sovranità, patria e diritti sociali. Podemos difende «il popolo», e il suo popolo è costituito da giovani, precari, disoccupati, anziani, lavoratori, ma anche da piccoli e medi imprenditori, commercianti e artigiani. Per poterlo difendere deve andare al governo: tutto ciò che fa e dice deve servire a vincere le elezioni. A questo fine è stata pensata l’organizzazione interna, capace di essere sia orizzontale, grazie al voto su programmi e candidature aperto a decine di migliaia di iscritti, sia leninista, controllata dal nucleo dei fondatori. Sempre per inseguire il fine elettorale, il programma radicale presentato alle europee viene progressivamente moderato.

Dopo mesi di un’ascesa che sembrava irresistibile, Podemos sta attraversando una prima fase di difficoltà. I sondaggi lo stimavano al 15% in estate, quasi al 30% (primo partito) a fine 2014. Da tre mesi invece cala, risultando il terzo o il quarto partito. Perché? Per motivi riconducibili ad ambivalenze nella sua costituzione, alla logica dei media e a dilemmi classici della sinistra. Innanzitutto, l’incursione di una nuova forza in un sistema consolidato apre la porta ad altre forze. In Italia, Grillo è stato la «premessa logica» di Renzi. In Spagna Podemos ha aperto la strada a Ciudadanos, che fa un discorso simile al suo sul rinnovamento della politica, ma ha un profilo programmatico liberista. Ciudadanos sembra ripercorrere il ciclo di ascesa di Podemos (oggi è dato al 15-20%), sottraendogli il monopolio simbolico del cambiamento. La contesa simbolica con Ciudadanos è il principale problema di Podemos. Senza i media non si può costruire un progetto politico potenzialmente maggioritario. Nello stesso tempo i media danno e tolgono visibilità a seconda dei momenti e delle esigenze delle élite.

Dopo aver creato il leader Iglesias, hanno teso a distruggerlo. La descrizione mediatica di Podemos come gruppo di chavisti irresponsabili finanziato illegalmente dal Venezuela ha raggiunto l’opinione pubblica. La centralità che il partito ha conferito alla comunicazione porta inoltre ad avere un’attenzione maniacale per la confezione mediatica dei propri messaggi e per la loro capacità di incontrare sentimenti maggioritari. Ciò fa correre il rischio di ripetere slogan indeterminati che ostacolano una chiara identificazione del partito da parte degli elettori. I consensi demoscopici, infine, sembrano ormai seguire lo stesso ciclo delle notizie: emergenza del fatto, iper-rappresentazione, oscuramento. I consensi degli outsider possono sfumare velocemente.

Sembra che la “maledizione” di tutte le sinistre che aspirano al governo stia raggiungendo anche Podemos: l’inseguimento di un mitico elettore mediano, centrista per definizione, e la conseguente moderazione programmatica. Il fatto di essere al contempo outsider e partito che, per diventare governo, deve apparire responsabile, determina una costante tensione interna e continue giravolte tattiche. La ferrea pratica dell’obiettivo (vincere le elezioni) conduce poi a un elettoralismo esasperato che rischia di incrinare i rapporti con i movimenti sociali e di sacrificare le loro istanze. Infine, la trasversalità funzionale a diventare maggioranza non è sostenibile nel lungo periodo.

Se si è di sinistra, si viene collocati in uno spazio politico limitato. Se ci si allontana da questa identità, si può perdere il consenso della propria base.
È una serie di dilemmi di non facile soluzione. Gli sviluppi di questo esperimento politico, per certi versi straordinario, daranno indicazioni importanti anche alle sinistre di altri paesi.