Ho incontrato il professor Eco l’ultima volta in un festival letterario. Volevo annunciargli il completamento con Fabio Pedone della traduzione di una delle opere a lui più care, il Finnegans Wake di James Joyce. Mi chiese quando sarebbe uscito. Dissi nel 2019 o 2020. E lui: «Spero di sopravvivere per presentarlo». La sua cordialità con i giovani era infinita quanto il suo estro. Gli chiesi una volta un parere su un passo del libro impossibile di Joyce, un passo che io interpretavo in un modo e i guru della critica joyciana internazionale in un altro. Nello specifico, in una parola inventata «cumm bumm» io ci vedevo il Cumann nan mBan, la formazione paramilitare femminista e femminile che si unì alla rivolta irlandese nel 1916 – questo oltre a Cambronne e a tante altre cose (lo sperma, il deretano…)

 

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James Joyce

 

I critici talebani che avevo consultato escludevano la soluzione irlandese in questo libro irlandesissimo. Consultai l’oracolo di Eco, e il professore mi scrisse parole il cui conforto è ancora oggi inestimabile. Mi spiegò con estrema semplicità che se Joyce quando si traduceva in italiano cercava di modificare i suoi puns, allora un suo traduttore è autorizzato ad «ogni analogia possibile, se lui non ci aveva pensato». E aggiunse che se nel testo c’è una coincidenza sonora, bisogna renderla in qualche modo perché «conta più l’intenzione del testo che l’intenzione dell’autore».

La chiusa, poi, di quel suo messaggio prezioso mi ricorda quando amava ricordare che era andato in cattedra più tardi dei suoi colleghi perché non si preoccupava di omaggiare i baroni: «E chissà quante associazioni indebite fanno i suoi colleghi».

L’eredità di Eco nella cultura mondiale è ben nota. Il suo contributo imprescindibile all’avvicinamento dell’opera di Joyce, solo agli specialisti. Eppure, il suo ancora insuperabile Le poetiche di Joyce è del 1966, e la sua presenza come membro onorario nei board delle varie associazioni internazionali è un dato di fatto. Eco non ha smesso mai di pensare a Joyce, e ce ne accorgiamo non soltanto nei suoi libri di critica, ma anche nei romanzi, negli articoli o nelle interviste, persino le più leggere.

Il gusto per la parola, la passione per l’apertura di scenari universali quando questa si fa interpretazione, e soprattutto, la fusione di un impeccabile illuminismo e di una brama di ignoto, mdi edievale, avvicinano la sua opera a quella di Joyce come forse l’opera di nessun altro. Nel suo ultimo messaggio, il professore mi scrisse «Grazie! Aspetto i primi capitoli». Non ho avuto il tempo di sapere cosa ne pensasse, ma c’è da sperare che l’abbiano fatto sorridere.