Qui neppure i fondi di caffè né la sfera di cristallo possono aiutare. Nessuno può dire come andrà a finire con la Grecia. Ma si può ragionare su quello che è successo.

Cominciando, ad esempio, dall’atteggiamento della Lagarde, presidente del Fmi.

La Lagarde ha affermato alcuni giorni fa che considererà la Grecia insolvente se non pagherà la rata dovuta di 1.6 miliardi di euro il 20 giugno prossimo.

Mi pare che non sia stata notata l’irritualità della dichiarazione. A quanto si sa le procedure del Fondo sull’insolvenza sono meno incalzanti.

Il rappresentante del Fondo nella capitale del paese insolvente avvisa la sede centrale dopo un mese, e il Fondo dichiara l’insolvenza dopo due mesi. Stavolta la Presidente ha detto che, siccome tanto si sa che la Grecia non pagherà, l’insolvenza va dichiarata da subito. Questa dichiarazione è stata unanimemente commentata come ulteriormente aggressiva verso la Grecia. Ma a me pare che sia sfuggito che l’aggressività è rivolta anche verso l’Europa; forse anche di più. Perché toglie ai governi europei tre mesi ulteriori di trattativa per continuare ad aumentare la pressione, politica e finanziaria, sulla Grecia.

Vediamo adesso fino in fondo l’intelligenza politica della mossa di Tsipras nell’accordo del 23 febbraio. Perché, al di là del testo, la novità era che la posizione non acquiescente greca rispetto ai contenuti del Programma di aiuto (sic!) sottoscritto dai governi precedenti, rovesciava sui governi europei la responsabilità di dichiarare il fallimento della trattativa e quindi aprire la situazione di possibile uscita della Grecia dall’euro, con tutte le conseguenze possibili. Questo era il senso, infatti, della prerogativa greca, accettata nell’accordo, di fare le proposte, lasciando alla controparte europea l’onere di rifiutarle.

Qualche settimana fa, la riunione ‘segreta’ tra Commissione, Eurogruppo, Fmi e Bce aveva tentato di rovesciare la situazione mandando un ultimatum alla Grecia: dica se accetta le condizioni europee o è fuori. Ma la risposta durissima di Tsipras ha rimandato la palla nel campo europeo, e vanificato la sortita. Perché se dopo un ultimatum si continua a trattare, si torna alla casella di partenza.

E questo fa emergere la debolezza di fondo della posizione europea; nonostante il dispiegamento di minacce e ricatti a tutti i livelli; dal politico al giornalistico. L’Europa, da decenni, trova accordi solo all’ultimissimo minuto per evitare quelli che più volte sono apparsi fallimenti catastrofici inevitabili del progetto europeo. E anche stavolta i rischi di un Grexit sono elevatissimi.

Nel 2012 Draghi blocco la speculazione con il whatever it takes. Il successo si vide dal fatto che non dovette tirare fuori un euro della misura di intervento illimitato previsto, il cosiddetto OMT (Outright monetary transactions). Cosa succederebbe adesso se qualcuno mettesse in dubbio l’irreversibilità dell’euro. Il QE, nonostante le affermazioni contrarie, non è lo strumento adatto per affrontare una crisi dei debiti sorani. La Germania ha imposto troppi limiti al suo utilizzo; è dubbio che li revocherebbe, pena la ribellione nel paese. Ma anche la misura del 2012, l’OMT, può incontrare lo stesso limite. L’opinione pubblica tedesca potrebbe accettare che la Bce si riempisse di titoli di debiti sovrani che si potrebbero svalutare pesantemente, procurando perdite contabili alla Bce che i contribuenti tedeschi temerebbero di dover ripianare? Quanto la Bce potrebbe andare avanti prima di una rivolta tedesca?

Rischi politici. Se la Russia intervenisse a sostenere finanziariamente la Grecia (e lo potrebbe fare) il lato Est della Nato vacillerebbe; si aprirebbe un arco di crisi dall’Ucraina alla Grecia. Gli Usa da qualche tempo osservano la rigidità europea con i capelli ritti di fronte a questa prospettiva. Per non parlare delle spinte centrifughe che si aprirebbero in Europa, minacciando di travolgere tutto il progetto europeo.

Le dirigenze europee, politiche e burocratiche, espertissime nei compromessi dilatori si trovano messe con le spalle al muro dalla dichiarazione della Lagarde. Questa massa di abilissimi rinviatori dovrebbe diventare decisionista in dieci giorni. Spetterebbe ai governi europei infatti prendere la decisione finale: se respingere, o meno, le ultime proposte greche sulle riforme pensionistiche (peraltro ragionevoli, e che mantengono le linee rosse di Syriza) e sbattere la Grecia fuori, aprendo una crisi dalle conseguenze incalcolabili. Una decisione da far tremare le vene ai polsi. Non per le vene degli eurocrati. Al di là dell’esibizione di durezza.

Condivido le preoccupazioni di chi, Stiglitz, Krugman e altri, hanno parlato in questi giorni di Agosto 1914 e Versailles 1919 come esempi di follia collettiva e di prepotenza, che portano ad esiti funesti incalcolabili.

Potrebbe succedere di nuovo. ma pare che stavolta, invece, un accordo magari all’ultimo nanosecondo, ci sarà.