«Andrò davanti ai giudici quando anche Nasrallah (leader di Hezbollah) sarà convocato», aveva detto nei giorni scorsi l’uomo del momento, «il dottore» Samir Geagea, leader delle Forze libanesi, annunciando che avrebbe ignorato – come ha fatto ieri – il mandato di comparizione davanti alla Corte militare libanese come persona informata dei fatti.

GIOVEDÌ 14 OTTOBRE sette persone sono rimaste uccise e una trentina ferite in un pesante scontro a fuoco a Tayyouneh, tra il quartiere sciita di Dahieh e quello cristiano di ’Ain Remmeneh, su quella che era l’antica linea di confine tra Beirut est e ovest durante la guerra civile (1975-90).

Secondo le ricostruzioni, alcuni cecchini delle o vicini alle Forze libanesi avrebbero sparato in mattinata su una manifestazione organizzata da Amal e Hezbollah dal palazzo su cui erano appostati dalla notte prima e innescato lo scontro a fuoco con i miliziani presenti e quelli sopraggiunti. Le Forze libanesi parlano di un attacco precedente da parte di Hezbollah a ’Ain Remmaneh.

L’ESERCITO ERA RIUSCITO a riprendere il controllo dell’area – ora costantemente sorvegliata – solo dopo varie ore. Panico tra i civili, tra i bambini nelle scuole costretti a rivivere la quotidianità della guerra civile a cui la mente dei libanesi è subito andata. Geagea si era immediatamente detto estraneo ai fatti. 68 persone sono già state individuate e accusate di omicidio, tentato omicidio, conflitto settario, possesso illecito di armi da guerra, distruzione di proprietà pubblica e privata. 18 sono in carcere.

Lo scontro a fuoco su cui ora indaga la magistratura è avvenuto in occasione di una protesta dei due partiti sciiti contro il giudice Tareq Bitar, che indaga sull’esplosione al porto che il 4 agosto 2020 ha devastato la capitale, ucciso 235 e ferito 7mila persone, provocato 300mila sfollati, e che è accusato da questi di essere politicizzato.

Il giudice è già stato costretto a interrompere la sua azione due volte da quando ha ereditato nel febbraio scorso il processo dal suo predecessore Fadi Sawwan, rimosso perché ritenuto coinvolto emotivamente: una sua casa era andata distrutta nell’esplosione.

MEERAB, CITTADINA nel governorato di Byblos e roccaforte del dottore, ha visto ieri centinaia di manifestanti scendere per le strade, organizzare cortei in auto e a piedi. A Sassine, piazza centralissima della cristiana Beirut est, una sua gigantografia è stata appesa con la scritta «con te».

Samir Geagea – capo di un partito ultraconservatore di destra di dichiarata ispirazione fascista e franchista e costola del Kataeb, la Falange – è stato l’unico capo politico a finire in carcere per i crimini commessi durante la guerra civile, tra cui il massacro di Ehden e quello di Sabra e Shatila. Ora all’opposizione, si propone come alternativa ai cristiani di Aoun e Bassil, al governo e alleati di Amal e Hezbollah, e strizza l’occhio ai sunniti delusi dalla mancanza di autorevolezza di Saad Hariri e che non si riconoscono nel milionario Mikati, attuale premier. Le elezioni si terranno il 27 marzo 2022.

Geagea si propone come paladino duro e puro della cristianità in Libano, forte dell’appoggio del patriarca maronita Raï, come colui che non scende a patti e non ha paura di Amal e soprattutto di Hezballah, che hanno subito il primo vero affronto interno dagli anni della guerra civile. Nasrallah ha però avvertito il dottore che ha a disposizione 100mila uomini addestrati, ma che al contrario di lui non ha lo sguardo rivolto alla guerra civile.

IL GOVERNO si è riunito una sola volta da quando si è insediato il 10 settembre, non riuscendo a superare le divergenze politiche strutturali e a sbloccare gli aiuti internazionali, a questo punto vitali. La tensione è alta e la profonda crisi economica e sociale che ha piegato il Libano rende al momento possibile ogni scenario.