Come annunciato in autunno, la XV Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia si chiamerà Reporting from the Front (più o meno Notizie dal Fronte) e sarà ufficialmente inaugurata sabato 28 maggio. Oltre alla mostra del curatore, ospiterà le esposizioni di sessandue paesi, che occuperanno i padiglioni nazionali dei Giardini, parte delle Corderie e un crescente numero di spazi «fuori biennale». La mostra è stata presentata a Ca’ Giustinian dal presidente Paolo Baratta e dal curatore Alejandro Aravena, architetto cileno appena insignito – dev’essere la «buona stella» di Baratta – del Pritker Prize, vale a dire del più importante premio internazionale di architettura riservato ai progettisti.

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Alejandro Aravena

È stata una presentazione abbastanza inusuale: Baratta ha parlato a lungo del ruolo della Biennale e di questa esposizione, della strada della «responsabilità» intrapresa già ai tempi della rassegna di Burdett sulle città (2006) o di quella di Sejima (2012) sull’incontro tra architettura e persone e che il progetto di Aravena intende continuare e consolidare. Aravena invece è stato abbastanza lapidario, introducendo i concetti chiave della sua mostra e non facendo vedere nemmeno un’immagine dei progetti che ha scelto (o che sta scegliendo).

Reporting from the Front ruota intorno a tre concetti. Il primo è splendidamente espresso dall’immagine icona, vale a dire la foto che Chatwin scatta all’archeologa tedesca Maria Reiche, che percorre il deserto peruviano portandosi appresso una scala di alluminio. Ogni tanto si ferma, sale sulla scala e cerca di identificare le linee di Nazca, che ad altezza d’uomo sarebbe impossibile vedere. L’immagine è bella e la metafora efficace, Aravena, che è già piuttosto alto e per la felicità dei giornalisti parla un ottimo italiano, sale sulla scala per cercare un’archeologia ancora più arcana di quella peruviana, perché rivolta al futuro.
Il secondo punto è il ruolo che il curatore assegna all’architettura, il cui «avanzamento» non può essere considerato «un obiettivo in sé, ma un mezzo per migliorare la qualità della vita delle persone». E quindi non una pura ricerca dell’innovazione formale, come in molte biennali del passato, né l’identificazione pessimistica di un lessico, come per Koolhaas, ma la ricognizione accurata di chi sa connettere bellezza e servizio, potenza espressiva e comprensione del ruolo sociale dell’architettura.

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Brandlhuber Roth “Legislating Architecture”

Il terzo punto, quello più significativo, corrisponde, infine, ai criteri che il curatore sembra aver utilizzato per selezionare autori e progetti invitati, vale a dire gli argomenti che dovrebbero dar senso ai lavori dei progettisti: la segregazione, le disuguaglianze, le periferie, l’accesso a strutture igienico-sanitarie, i disastri naturali, la carenza di alloggi, la migrazione, l’informalità, la criminalità, il traffico, lo spreco, l’inquinamento e la partecipazione delle comunità. Insomma i contenuti «politici» che Aravena identifica in un lungo elenco che mette insieme star conclamate (Koolhaas, Herzog & De Meuron, Sejima , Chipperfield e via dicendo), un’ampia rappresentanza della generazione di mezzo, vale a dire la sua (Studio Mumbai, Wang Shu, Kerè, Atelier Bow Wow e altri studi molto interessanti), insieme ad alcuni radicali come Mazzanti e Rural Studio e a una buona pattuglia di giovani emergenti.

Particolarmente interessante la selezione italiana, con alcune presenze prevedibili, come i TAM, curatori socially engaged del padiglione italiano, e il gruppo di ricerca sulle periferie finanziato da Renzo Piano (G124), ma anche con alcune scelte non scontate,(Architecture and Vision, C+S, Renato Rizzi e la bravissima siciliana Grasso Cannizzo). Baratta e Aravena non si sbilanciano sull’allestimento, ma insistono molto, soprattutto il presidente, su alcuni «progetti speciali», come la mostra del V&A sulle arti applicate (A World of Fragile Parts), il workshop su Marghera e le città-porto (un classico della biennale) e la conferenza Habitat/Urban Age sulle città, a cura di Ricky Burdett.