Abbiamo partecipato al grande comizio pre-elettorale di Kemal Kiliçdaroglu, il leader del partito kemalista Chp, nella sua roccaforte: la città costiera di Izmir. Tra bandiere con l’effige intramontabile di Ataturk e canzoni tradizionali, la retorica di sinistra del secondo partito turco dall’aumento dei salari minimi alla riduzione del costo della benzina, dalla lotta alla disoccupazione giovanile fino all’assunzione di 300 mila precari della scuola, alza l’asticella dello scontro politico sulla crisi economica.

La crescita in Turchia rallenta inesorabilmente secondo l’Organizzazione economica per la sicurezza e la cooperazione (Osce) nel 2015 e l’inflazione galoppa all’8,1% a maggio. Kiliçdaroglu ha trovato così terreno fertile per delineare una improbabile grande coalizione in salsa turca con il partito di sinistra filo-kurdo, il partito democratico del Popolo (Hdp), che per il momento poco si sposa con l’estrema polarizzazione politica turca e fa il gioco dell’alleanza elettorale che il presidente Recep Tayyp Erdogan cerca a destra con i nazionalisti dell’Mhp di Devlet Bahçeli per approvare la sua riforma super presidenzialista all’indomani del voto. Tutta la campagna elettorale ruota così intorno al superamento dello sbarramento del 10% da parte dell’Hdp che metterebbe il bastone tra le ruote agli islamisti moderati dell’Akp.

Gli uomini di Erdogan sarebbero pronti a rispolverare il Comitato di supervisione (Izleme Eyeti) con il leader del Partito dei lavoratori kurdi (Pkk) Abdullah Ocalan per rimettere in carreggiata il processo di pace e il disarmo dei kurdi turchi. Il tentativo è deragliato per volere degli islamisti dell’Akp che, con il discorso di Erdogan a Balikesir, hanno strappato in un sol colpo l’accordo annunciato a Palazzo Dolmabahçe dal deputato dell’Hdp Sirri Sureyya Onder il 28 febbraio scorso alla vigilia delle elezioni proprio per raccogliere consensi tra i nazionalisti e spingere i kurdi di Hdp fuori dal parlamento.

E così a fare paura ad Erdogan è soprattutto l’ascesa inesorabile nei sondaggi dello «Tsipras turco» (accreditato al 13%): il leader di Hdp. Selahattin Demirtas è riuscito a compattare l’elettorato kurdo, sottraendo voti preziosi all’Akp anche delle tribù kurde che avevano fin qui sempre appoggiato Erdogan. Fallito il tavolo negoziale, il leader del partito filo-kurdo ha saputo presentarsi alla classe media e ai potenziali astensionisti come l’unica credibile opposizione. Tuttavia, gli islamisti moderati non hanno nessuna intenzione di vedere crescere i seggi dell’Hdp oltre la manciata di parlamentari ottenuti tra gli indipendenti nel 2011.

Per questo il vice primo ministro Yalçin Akdogan ha dipinto l’eventuale ingresso di Hdp in parlamento come un «pericolo per la democrazia» per i suoi legami stabili con il Pkk. Con l’intento di sovrapporre i due partiti agli occhi dei nazionalisti lo scorso 11 aprile l’esercito turco ha lanciato un’operazione militare contro il Pkk nel villaggio di Agri.

Era in corso un festival ecologista a cui prendevano parte i combattenti kurdi, accorsi per l’occasione dalle montagne. «La nostra consegna era di non rispondere a nessuna provocazione», ci spiega Ziya Pir, candidato di Hdp al parlamento e nipote di uno dei fondatori del Pkk. Secondo le ricostruzioni del partito, lo scopo dell’intervento dei militari ad Agri, a pochi chilometri dalla roccaforte del Pkk di Uludere, era innescare scontri che avrebbero causato la morte di alcuni soldati per diffondere un’ondata di nazionalismo anti-kurdo alla vigilia del voto e screditare così Demirtas, con la regia del ministero dell’Interno e dei servizi turchi (Mit). Tutto questo non è avvenuto e i soldati sono stati protetti dalla popolazione locale. Non solo, il leader dell’Hdp ha denunciato vari tentativi di attentare alla sua vita.

Lo scorso 18 maggio due ordigni sono esplosi nelle sedi del partito a Adana e Mersin causando 6 feriti. In una nota, Hdp ha accusato Erdogan e il premier Davutoglu di essere i mandanti degli attacchi. Lo stesso Onder ha confermato di essere stato messo in guardia su possibili tentativi di uccidere Demirtas alla vigilia del voto.

Eppure Hdp è un vero laboratorio politico nella Turchia di Erdogan. Il 48% dei candidati nelle liste del partito sono donne e nelle 103 municipalità dove la sinistra filo-kurda è al potere è stato adottato il principio della co-presidenza per cui al vertice dei Consigli comunali ci sono sia un uomo sia una donna, come ci confermano le esponenti del Dipatimento per le donne nel partito, Sultan Safak e Gozde Ergin. Insomma il discorso politico dell’Hdp, cartello elettorale che include partiti locali, organizzazioni non governative e gruppi marxisti, è permeato dalle teorie di Ocalan. Le sue immagini campeggiano nelle sedi del partito che abbiamo visitato come un nuovo Che Guevara, affiancato spesso da ritratti di alcuni tra i 40 mila kurdi uccisi negli ultimi anni, come il giornalista Musa Anter, tra le firme del giornale filo kurdo Ozgur Gunden.