Frugando nelle carte di una vecchia scrivania nella casa dove mi trovo confinato, ho trovato una ricerca sul Rachitismo infantile a Napoli nei primi anni del Novecento, firmata da nonno Gaspare, allora studente di Medicina proprio in quella città.

Dopo una serie di considerazioni di carattere medico, che tralascio, mi hanno colpito le conclusioni, incentrate su considerazioni sorprendenti e inoppugnabili nella loro semplicità. La causa principale del rachitismo infantile era da imputare alla mancanza di cibo, alla miseria, alla fame cronica di quei bimbi. Insomma, l’unica cura efficace del rachitismo era una buona e sana alimentazione. Anche oggi, più di un secolo dopo, le condizioni sanitarie sono legate a doppio filo alle condizioni economiche e sociali della popolazione. La sanità rimane una questione di povertà e di ricchezza, di vita e di morte. La salute pubblica, però, ha acquistato una centralità mai avuta prima perché sono venuti al pettine i nodi di un orientamento ultra-liberista dello sviluppo capitalistico che, tra i suoi effetti, ha comportato pesanti tagli alla sanità e al welfare state in generale. Sono cresciute in modo intollerabile le distanze tra ricchi e poveri, sono aumentate le ingiustizie sociali, è stato compromesso il rapporto uomo-natura, si sono rotti delicati equilibri ambientali. In questo quadro ha trovato terreno fertile la pandemia di Covid 19 e, come una serie di studi ci avvertono, altre pandemie potrebbero diffondersi.

Tutto ci dice che sarebbe irresponsabile continuare a baloccarci con l’idea ingannevole e falsa che basta rilanciare l’economia e che questo modello di sviluppo, nonostante i guasti prodotti, è l’unico possibile. Anche il coronavirus si è comportato in modo diseguale e selettivo perché si è scrupolosamente adattato alla condizione reale dei rapporti sociali. La pandemia, infatti, non ha colpito tutti allo stesso modo. Sul piano strettamente sanitario il virus ha attaccato di più gli anziani, le persone fragili, alcune fasce popolari più emarginate. E’ entrato di più negli alloggi popolari e nelle case di riposo per anziani. Ma è sul piano delle conseguenze sociali che Covid 19 ha seguito, con esattezza e puntigliosità, la mappa delle diseguaglianze sociali disegnata dalla deriva neoliberista degli ultimi decenni. In questo periodo di confinamento abbiamo apprezzato il fatto che il personale sanitario, gli operatori ecologici, gli autotrasportatori, i conducenti di bus e metropolitane, le cassiere dei supermercati, i fattorini, ecc. siano stati in prima linea a lavorare e abbiano consentito – pur in una situazione di emergenza – che la vita di tutti noi potesse scorrere con un minimo di tranquillità. Ma gli stessi benpensanti, che inneggiano all’eroismo di chi si trova in prima linea, non si preoccupano affatto, poi, se questi lavoratori siano spesso sottopagati e poco considerati.

La tempestività della risposta dello Stato alla crisi attuale è fondamentale anche per contenere il dilagare del malessere sociale, conseguente alla precarietà e alla disoccupazione, destinate a crescere in modo esponenziale a causa della recessione. Allo Stato, in questa fase, spetta un ruolo strategico. Oltre agli interventi che aiutino la ripresa economica e la riconversione ecologica del comparto produttivo, la bussola per lo Stato deve essere la difesa e il rafforzamento dei servizi pubblici indispensabili quali la sanità, i trasporti, la scuola, cultura, la ricerca. La cosa non è affatto scontata. Sono infatti in movimento, ancora una volta e più aggressivi di prima, i fautori di “meno Stato e più mercato”. Tra questi si distingue su una linea ultra-liberista il nuovo presidente della Confindustria che, in verità, non disdegna gli aiuti pubblici purché servano esclusivamente a sostenere le imprese. Naturalmente senza vincoli o regole da rispettare verso i lavoratori e la società. Si prospetta perciò l’inizio di uno scontro duro tra chi cerca di ripristinare lo status quo ante e le forze che lottano per una trasformazione che privilegi la giustizia sociale.