Se la fine di ogni anno è sempre tempo di bilanci e buoni propositi, per il 2015 anche il sistema del cibo ne merita uno. Il cibo sembra infatti generare un’ossessione diffusa, è esibito, diventa spettacolo, gli chef sono le nuove star. Si cerca un’esperienza unica e autentica, se di autenticità in fatto di cibo sia mai possibile parlare. Ci si sofferma sugli aspetti nutrizionali, si erigono altari ai «super food» e si creano nuovi nemici da mettere al rogo secondo l’Oms. Mentre surrogati e sostituti, dalla dubbia provenienza e lavorazione, invadono gli scaffali dei supermercati sull’onda della vena salutista, a sorprendere sono solo gli insetti che sembrano però più che altro un divertissement se vogliamo veramente nutrire il pianeta. Crediamo che l’unica soluzione sia aumentare del doppio la produzione di cibo se vogliamo dar da mangiare a otto miliardi di persone. Il cibo è diventato quello che non sarebbe mai dovuto essere: un’industria, una merce.

Il 2015 per l’Italia è stato l’anno di Expo Milano: gli scandali, i ritardi, i dibattiti sull’affluenza, le file per il padiglione del Giappone, i prezzi dei tacos al padiglione messicano sono stati gli argomenti più discussi. Di nutrire il pianeta si è parlato ben poco. Il marchio Expo è servito ad ammiccamenti utili solo a vendere qualche forma di cacio e un po’ di vino in più. Distratti e imbambolati dal grande parco divertimenti milanese abbiamo distorto il discorso sul cibo e lo abbiamo ridotto a show cooking, tipicità ed esotismi a tutti i costi, dimenticando quanto di significativo stava accadendo.

Tra i pochi buoni frutti di Expo per esempio c’è stata la stesura della «Carta di Milano», un documento firmato da più di un milione di persone che stipula un patto tra istituzioni e cittadini su temi come l’ «accesso a cibo sano, sufficiente e nutriente, acqua pulita ed energia, importanza del ruolo delle donne nell’alimentazione e nell’educazione, rispetto del suolo e delle risorse naturali e sostenibilità dei processi produttivi».

Sempre in occasione di Expo, Milano ha ospitato «We Feed the Planet». Un evento organizzato dallo Slow Food Youth Network, che ha riunito migliaia di giovani contadini, pescatori, allevatori e produttori da tutto il mondo per dibattere, cercare soluzioni e creare una rete di supporto e collaborazione tra la nuova generazione di chi realmente nutre il pianeta.
Al di là di Expo nel 2015 la società civile europea ha combattuto contro il TTIP, un trattato che rimane avvolto nel mistero e che mette in allarme milioni di cittadini europei. Invece di subire passivamente, molti hanno deciso di scendere in piazza e chiedere una politica più trasparente, con più tutela per i diritti dei cittadini e meno logiche di mercato. Una battaglia che ha portato a un rallentamento dei lavori, ma che deve continuare anche nel 2016.

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Ad agosto è stato sventato uno dei «matrimoni»più pericolosi del secolo: le due aziende di sementi con maggiore potere al mondo, la svizzera Syngenta e l’americana Monsanto, non hanno raggiunto un accordo. La fusione che avrebbe posto prospettive di un inquietante monopolio sui semi per il settore agricolo mondiale non è avvenuta.

Il 2015 è stato anche l’anno di COP21: alla conferenza di Parigi il settore agricolo è stato il grande assente. Se l’accordo raggiunto non prevede misure drastiche per un cambiamento immediato di rotta, l’assenza dell’agricoltura è ancora più allarmante. L’impatto dell’agricoltura industriale, con i grandi allevamenti intensivi bovini, la deforestazione, la monocoltura, è responsabile del 30% delle emissioni di gas serra prodotte da attività umana secondo alcune fonti dell’Onu. Un’assenza che evidenzia un sistema in cui gli interessi dell’oligopolio del settore alimentare mondiale impediscono ancora alle nazioni di prendere misure in questo settore.

Una svolta verso pratiche agro-ecologiche garantirebbe un cambiamento più veloce, più sicuro e più economico, senza la necessità di ricorso alle tecnologie più costose. Il riscaldamento globale beneficerebbe molto più efficacemente di incentivi alle pratiche agricole integrate, che considerano la gestione agricola, forestale, costiera e marina come un cerchio connesso e chiuso, un sistema complesso che beneficia di ogni miglioramento nelle sue parti. Il potere di resilienza delle pratiche agro-ecologiche garantirebbe una produzione più stabile, capace di resistere e al contempo mitigare i fenomeni di erosione del suolo, le siccità, ma anche i rovesci sempre più rari e violenti. Una soluzione che vedrebbe anche una risposta a molti dei grandi movimenti migratori, causati non solo da guerre civili, ma anche dagli stravolgimenti climatici che impediscono in molti paesi l’accesso all’acqua e al cibo.

Proprio durante COP21 la Monsanto è tornata sotto i riflettori e la Fondazione tribunal Monsanto ha annunciato un processo che coinvolge Europa, Africa, America e Asia contro la multinazionale. Finanziato da un’operazione di crowdfunding, il processo si terrà nel 2016 e, pur senza un riconoscimento internazionale, servirà a mettere in luce i crimini di cui è accusata l’azienda e porre l’attenzione sui costi ambientali e umani di certe pratiche.

Volendo seguire la vecchia tradizione di gettare dalla finestra i cocci vecchi per passare all’anno nuovo, potremmo iniziare a buttare il cibo come merce, il cibo come specchietto per le allodole, i tradizionalismi sterili, le tipicità inventate. Portiamo con noi il cibo come nutrimento, il cibo come mezzo di conoscenza, il cibo libero dallo sfruttamento del lavoro. Buttiamo le ossessioni e le mode, teniamo la moderazione. Buttiamo l’autenticità e teniamo il valore dell’esperienza. Buttiamo il cibo come motivo di divisione e teniamo il suo valore di condivisione e di vitalità. Buttiamo le politiche asservite al solo guadagno e portiamo con noi l’attivismo civile. Buttiamo il privilegio e portiamo l’accesso al cibo vero per tutti, buttiamo il cibo che inquina e uccide, e portiamo il cibo sostenibile e resiliente.