«Morire di Aids o di coronavirus, che differenza vuoi che faccia». Non ha mai conosciuto mezze misure Gabi, un uomo nascosto nel corpo di un ragazzo e due occhi cristallini che fanno trasparire un’età dell’innocenza che non ha mai vissuto. A sei anni Gabi scappò da casa in Moldavia, destinazione Bucarest. La sua vita l’avrebbe trascorsa lì, tra i canali e gli squat della capitale rumena, in bilico tra la voglia di riscatto e l’inesorabilità delle ricadute.

UN DESTINO COMUNE a quello delle migliaia di ragazzi per strada divenuti il simbolo del disfacimento sociale della Romania post-comunista. Chi scappava da famiglie devastate da povertà e alcolismo, chi dagli orfanotrofi affollati dei bambini voluti dal regime di Nicolae Ceausescu. Quella cicatrice profonda che aveva aperto la caduta del comunismo fece il giro del mondo, ma con gli anni i ragazzi dei tombini di Bucarest sono diventati nient’altro che un complemento d’arredo della città. Sagome senza vita, volti senza storia.

Alcuni sono riusciti a tirarsi fuori dalla strada, altri su quella strada hanno trovato la morte, altri ancora come Gabi sono lì che sopravvivono.

Al freddo, alla fame, alla malattia. Ora l’epidemia rischia di spazzarli via come una folata di vento con le foglie. «Sono sopravvissuto a tutto, sopravviverò anche a questo. E se non ce la faccio, ero comunque destinato a non vivere a lungo» racconta Gabi con spietata leggerezza. Eppure i più esposti al contagio sono proprio loro, non solo perché abitano la strada.

Gabi come l’80% dei suoi compagni di ventura è sieropositivo. E questo non è che un esempio. In questi anni i ragazzi hanno sviluppato tutta una serie di patologie che li rende particolarmente fragili.

LO STESSO USO PROLUNGATO della colla, impiegata per alleviare il senso di fame e di freddo, ha avuto conseguenze drammatiche sui loro corpi. Per Gabi come per gli altri la questione principale però è dove trovare i soldi per sfamarsi. Da quando è esplosa l’emergenza Covid, è venuta meno quella «microeconomia» di strada con cui i ragazzi riuscivano a sopravvivere: le pulizie nei ristoranti e nei pub, il lavaggio dei vetri, l’elemosina, il riciclaggio e la vendita di materiali come plastica, carta, rame.

«I RAGAZZI hanno una diversa percezione del rischio. La loro è la prospettiva di chi è abituato a vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo» racconta Franco Aloisio, responsabile di Parada, associazione che dal 1996 assiste i ragazzi invisibili di Bucarest. Associazione che resta il loro punto di riferimento anche durante l’epidemia. Al centro diurno di Parada i ragazzi possono fare una doccia, trovare cibo e riparo. Il comune di Bucarest non ha fatto mancare il suo sostegno.

L’associazione ha ricevuto beni di prima necessità – dagli alimenti, alle coperte, ai prodotti per l’igiene e i disinfettanti – che i volontari di Parada distribuiscono non solo ai ragazzi di strada, ma anche alle migliaia di persone che vivono nelle baraccopoli e nei ghetti della capitale rumena. Intanto a Bucarest il contagio sta conoscendo un aumento esponenziale: 799 casi nel giro di sole due settimane. Il bilancio potrebbe aggravarsi anche per via delle pessime condizioni in cui versa il sistema sanitario. E anche per questo motivo la capitale ha agito per mettere in sicurezza i senza fissa dimora, mettendo a disposizione tre strutture alberghiere.

Ma i ragazzi ignari del rischio scalpitano. Alla quarantena preferiscono la morte. Preferibilmente lungo quella strada che li ha cullati per tutta la vita, quella strada che ora potrebbe inghiottirli per sempre.