Alla fine del Quattrocento, Venezia era divisa tra istanze differenti: con i turchi che avevano conquistato Costantinopoli nel maggio del 1453 e cancellato l’impero bizantino, nessuna potenza cristiana poteva sottrarsi all’obbligo di aderire alla Santa Impresa. Ma la Serenissima Repubblica di San Marco, tallonata dalla concorrenza genovese e catalana, aveva troppi interessi dalla vecchia capitale imperiale alle isole dell’Egeo fino ai porti del delta del Nilo per potersi permettere il lusso d’inimicarsi sul serio chiunque dominasse gli Stretti e desse segni concreti di estendere la sua potenza dalla Siria ai Balcani.

La presa della città, certo, era stata una tragedia per tutte le comunità cristiane occidentali. Anche il «bailo» Giovanni Minotto vi aveva perso la vita. Ma Venezia aveva fretta di riallacciare rapporti: temeva che la rivale Genova la prevenisse, strappando condizioni commerciali migliori. L’ambasciatore Benedetto Marcello ottenne quindi da Maometto II I’insediamento di un nuovo «bailo». Tuttavia la morte del sultano, nel 1481, sembrò diradare le ombre costituite dal pericolo turco. Venezia ne approfittò immediatamente per riprendere il progetto di espansione in terraferma, perseguito costantemente già dal secolo precedente.

Ai primi del Quattrocento, con la crisi dello stato milanese successiva alla scomparsa di Giangaleazzo Visconti, i veneziani credettero giunto il loro momento per quanto riguardava l’espansione verso il nord, l’ovest e il sud-ovest: insomma verso la terraferma. All’interno del ceto dirigente veneziano l’opinione era divisa fra quanti consigliavano la politica d’espansione in terraferma e quanti, al contrario, insistevano sulla necessità di riprendere la tradizionale linea della presenza in Oriente, dove le posizioni veneziane erano minacciate dalla concorrenza genovese e dall’avanzata ottomana in Anatolia e nella penisola balcanica. Nel 1423 divenne doge di Venezia Francesco Foscari, il quale inaugurò un lungo dogato, che sarebbe giunto al 1457: era il leader della fazione sostenitrice dell’espansione in terraferma e della necessità di battere la potenza milanese; e, siccome proprio in quegli anni la Milano viscontea era in fase di vigorosa attività, Venezia si dette subito da fare per suscitare una nuova Lega antiviscontea, alla quale parteciparono gli Estensi di Ferrara, i Gonzaga di Mantova, il marchese di Monferrato, il duca di Savoia, la repubblica di Firenze.

Tale alleanza fu egemonizzata e diretta dai veneziani, i quali riportarono alcune vittorie (come quella della battaglia di Maclodio del 1427), ma soprattutto riuscirono a non risentire quasi per nulla della guerra, il peso militare della quale era sostenuto principalmente dai loro alleati, mentre quello finanziario gravava essenzialmente su Firenze. Furono d’altronde proprio i successi conseguiti dalla energica politica foscariana, che non trovava più un argine nello stato lombardo dopo il tracollo di questo ai tempi dell’esperimento repubblicano del 1447-50, a consigliare i fiorentini a trasferire il loro appoggio allo Sforza, nuovo padrone della Lombardia, in modo da tentare di riequilibrare la situazione.

Dopo la morte di Maometto II, come detto, Venezia sembrava poter considerare estinto il pericolo immediato e rivolgersi nuovamente all’entroterra, minacciando il ducato estense di Ferrara che era feudo della Chiesa. Ne derivò un conflitto durato due anni, dal 1482 al 1484. Stavolta, a contrastare il suo dilagare, furono insieme Firenze, Milano e Napoli: Venezia dovette piegarsi a firmare la pace di Bagnolo (1484), che le fece tuttavia guadagnare il Polesine di Rovigo.

È in questo contesto di guerre che opponevano le principali potenze dell’Italia centro-settentrionale che si colloca l’Itinerario per la Terraferma veneziana, composto da Marin Sanudo nel 1483, che oggi possiamo leggere nell’edizione critica di Gian Maria Varanini, con il commento suo e di altri studiosi della Venezia quattrocentesca (Viella, pp. 686 euro 50). Marin Sanudo il Giovane (il suo omonimo avo detto detto «il Vecchio» era pure stato cronista di rilievo) è noto soprattutto per i suoi voluminosi diari, che ripercorrono gli anni drammatici delle guerre contro la Lega voluta dal papa, del nascere della Riforma protestante, del sacco di Roma, delle lotte tra Carlo V e Francesco I, dell’avanzata dei turchi nei Balcani e nell’Egeo e della prima parte del regno di Solimano il Magnifico. Nell’Itinerario lo conosciamo giovanissimo (era nato nel 1466) alle prese con una descrizione dei domini veneziani di terraferma che soprende per l’attenta osservazione del paesaggio naturale e umano: una novità della cultura umanistica, perfettamente interpretata da un talento che appare già maturo nonostante l’età.
L’Itinerario per la Terraferma veneziana è dunque un volume importante, grazie anche all’apparato che l’accompagna, tanto per la storia politico-amministrativa di Venezia, quanto per lo studio della cultura dell’umanesimo italiano.