«Già oggi, in Italia, non è più possibile affermare pubblicamente liberamente che ciascuno di noi ha un progetto iscritto nella propria natura che ci vuole maschi e femmine, e che la famiglia è fondata sull’unione stabile e fedele tra un uomo e una donna, e che i bambini hanno diritto a una mamma e un papà». Questa lettera, fra l’altro, ritwittava non molti mesi fa Carlo Deodato, il giudice del Consiglio di Stato estensore della sentenza che ha dato ragione al ministro Alfano sul no alle trascrizioni delle nozze gay celebrate nei comuni, contro quattro Tar che avevano sostenuto il contrario. Lui invita a giudicare la sua sentenza «solo sul piano tecnico e giuridico». Ma sull’argomento non è precisamente come la moglie di Cesare. La rete non perdona, soprattutto non dimentica. Basta una googolata per farsi un’idea delle granitiche convinzioni di Deodato. Sin dall’autopresentazione sul suo profilo twitter: «Giurista, cattolico, sposato e padre di due figli». A lui piace la frase di papa Francesco «solo nel matrimonio c’è fecondità». Ma soprattutto gli piacciono i post e gli articoli scandalizzati sulla ’pretesa’ del governo di portare a termine una legge sulle unioni civili. E che solidarizza con le ’Sentinelle in piedi’, i militanti omofobi famosi in realtà più per i loro flop di piazza che per le loro idee indietriste. Fra i suoi preferiti gli articoli del settimanale Tempi, vicinissimo a Comunione e liberazione e tutto impreziosito da firme preoccupate per la «penetrazione dell’ideologia del gender» nella scuola, un’ideologia che è «un’autentica opera di subdola colonizzazione culturale (…) una logica che ritroviamo anche in iniziative legislative come la cosiddetta legge “anti-omofobia” e quella sulle unioni civili tra persone dello stesso sesso».