«Al giro di boa di un anno di governo devo constatare che qualsiasi critica costruttiva è diventata impossibile. Ogni aspetto della vita del Movimento, dentro e fuori dal parlamento, è sottoposto alla volontà del capo politico e per questo, dopo più di dieci anni, lascio i 5 Stelle»: la senatrice Paola Nugnes è stata una delle prime ad animare i meetup partenopei, con l’attuale presidente della Camera Roberto Fico. Li hanno chiamati ortodossi perché hanno continuato a professare il grillismo originario e nella torsione del partito, innescata dal nuovo statuto varato nel 2017, non si sono mai riconosciuti.

ALLA ROTTURA Nugnes è arrivata per gradi. Prima l’avvio del procedimento del collegio dei probiviri per il dissenso espresso sul decreto Sicurezza, poi è stata sollevata dal capogruppo al Senato, Patuanelli, dalla commissione che lavorava sullo Sblocca cantieri per aver presentato degli emendamenti. Infine, la richiesta di una nuova fase costituente dopo la pesante sconfitta alle elezioni europee, «richiesta – racconta – archiviata attraverso il plebiscito a favore di Luigi Di Maio sulla piattaforma Rousseau. Uno strumento che serve solo a ratificare decisioni già prese. Non posso rimanere in un Movimento che vota pure il decreto Sicurezza bis, un insieme di norme che dall’ordine pubblico ai migranti disegna una società che mai mi sarei augurata di vedere».

La via della separazione è quindi irreversibile, restano da stabilire le modalità. Le clausole del contratto che ogni parlamentare 5 Stelle ha sottoscritto pongono norme stringenti a cominciare dalle penali: «Ho fatto tutti i passi necessari perché avvenga in modo indolore – spiega Nugnes -, dall’altro lato ho ricevuto solo silenzio. Se il mio modo di agire è stato interpretato come una debolezza, sappiano che combatterò. Ci sono diverse sentenze avverse al Movimento. Nel passaggio dallo statuto del 2009 a quello del 2017 non sono stati chiari con noi e il tribunale di Genova ha stabilito che gli statuti confliggono. Ce ne siamo accorti in ritardo, ci fidavamo. Del resto, tutti i problemi derivano dalla torsione imposta nel 2017, con la delega in bianco al capo politico. Inclusa la perdita di 6 milioni di voti nell’abbraccio con la Lega».

RESTERÀ IN SENATO: «Andrò tra gli indipendenti, se non riuscirò a incidere darò le dimissioni. È giusto rimanere a lottare anche per bloccare le ipotesi di riforma dello stesso parlamento. Riduzione nel numero degli eletti e del loro stipendio, a fronte di nessuna modifica per i ministeri significa rafforzare l’esecutivo a scapito del legislativo e della rappresentanza popolare. È una svolta autoritaria, funzionale anche a certe politiche che pure abbiamo sempre avversato, come sacrificare l’ambiente per progetti come il Tap». È un addio che segna un prima e un dopo nei 5S: «Ho una lunga storia politica, ho avuto il tempo di elaborare il mio distacco ma i parlamentari che sono entrati per la prima volta in questa legislatura sono in fortissima sofferenza. Avevo chiesto di discutere una carta dei principi, hanno preferito la delega in bianco a Luigi Di Maio».