Nella profluvie di citazioni pasoliniane che si avvicinano a celebrare il quarantesimo anniversario della scomparsa violenta del poeta, è destinato a rimanere importante lo spettacolo che dal suo Porcile ha tratto al festival di Spoleto Valerio Binasco (produzione del Metastasio di Prato, e quindi auspicabilmente destinato a girare nella prossima stagione). L’importanza non gli deriva dall’abbondanza dei luoghi comuni «estremisti» di cui pullulano le pagine dei giornali (e anche quelle del programma di sala dello spettacolo) ma proprio dalla semplicità e «semplificazione» con cui la regia di Binasco affronta il testo. Che è notoriamente uno dei più complessi ed «esorbitanti» del teatro di Pasolini, pieno di implicazioni e complicazioni, di «non detti» e di verità plateali, di citazioni storiche e di assenza di futuro per quanto vi accade.

 
Binasco scarnifica non tanto il testo, quanto le sue allusioni, attenendosi alla vicenda lineare del giovane Julian: inutilmente corteggiato dalla petulante e un po’ «tonta» Ida, assediato e quasi braccato dall’affetto tutto formale dei genitori, ricchi industriali dal passato nazista (nella Germania capitalista del boom si svolge l’azione), dal passato pieno di fantasmi e dal presente affacciato sul nulla. Julian però ha una vita «parallela», ma neanche troppo. Con la stessa decisione con cui rifiuta la corte di Ida nonostante le tentazioni (di concederlesi per pietà), frequenta in segreto le stalle dei maiali che danno luogo al titolo.

 
Proprio in questa apparenza di «commedia», sottolineata dai sipari che proiettandosi sul fondo, di velluto rosso o di freddi led, ne scandiscono i tempi, trova impeto e calor bianco la scelta drammatica del ragazzo. La sua opposizione ai genitori, e alla società e ai valori che rappresentano, rifiuta la via esplicità degli slogan e del politichese di Ida (che pure ha dalla sua tutte le ragioni e tutta la Storia, in un testo nato alla vigilia del’68), per assumere fino al sacrificio la concretezza e la totalità di una vita di totale opposizione: meglio l’amore per i maiali che quello per i rappresentanti di quella società fasulla, malata, e anche colpevole.

 
É stata la scelta morale di Pasolini, personale quanto radicale, tante volte e su tanti argomenti sostenuta fino allo stremo dal poeta, contro le ipocrisie, le illusioni e la cattiva coscienza di destra e sinistra. Salvando solo la privatezza dell’eros per difendersi dal peso dell’opprimente morale cattolica e dall’asfissiante accerchiamento dei consumi. Elementare, eppure rarissimo da raccontare sul palcoscenico, come riesce invece a Binasco, e al bel lavoro compiuto sugli attori.

 

 

A cominciare da Francesco Borchi, il cui Julian rivela un attore straordinario come non era ancora apparso; e poi Fulvio Cauteruccio, anche lui una rivelazione fuori dai soliti cliché, e Alvia Reale, mater dolorosa quanto svagata come fosse Zarah Leander, e Elisa Langone ingenua Ida, e tutti gli altri che andrebbero citati in una bella prova di compagnia. E come prova di poter rappresentare Pasolini fuori da ogni pigra convenzione, esaltatoria o denigratoria che sia.