Il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro, ma soprattutto il periodo della prigionia, tutta la complessa ragnatela di rapporti, interessi, legami tra poteri, organizzazioni, singoli, hanno elementi per eccellenza romanzeschi, non a caso la vicenda storica ha dato vita a libri di vario genere, però tutti con una unica chiave narrativa, quella investigativa. Da L’affaire Moro di Leonardo Sciascia, Da quella prigione di Marco Belpoliti, a Corpo di stato dell’attore Marco Baliani, forse il più bello, titolo anche di un suo celebre spettacolo teatrale, sono inchieste, studi, congetture sulle lettere scritte dal politico democristiano, sull’uso delle immagini nell’iconografia brigatista, la ricostruzione memoriale di un’epoca.

ORA ARRIVA IN LIBRERIA La seduta spiritica (minimum fax, pp. 166, euro 16) di Antonio Iovane, che si era già occupato di quelle vicende con un precedente libro, Il brigatista, ambientato nella temperie degli anni ’70 e nei movimenti clandestini della lotta armata, un romanzo, come questo, fatto di storie della Storia e di fiction interpretativa, soprattutto nella struttura, nel contenitore narrativo, con un ritmo incalzante e una scrittura scarna e diretta, focalizzata sull’azione dei personaggi.

In questo nuovo libro, lo scrittore romano è alle prese con il puzzle del rapimento Moro e i suoi movimenti segreti, più che le «trame» sotterranee, tutta una serie di fatti, dichiarazioni, con al centro la seduta spiritica del 2 aprile 1978 avvenuta a Zappolino, una frazione di Valsamoggia a trenta chilometri da Bologna, cominciata per gioco da Romano Prodi a casa di Alberto Clò, con Mario Baldassarri e le relative consorti, evocano gli spiriti di Don Luigi Sturzo e Luigi La Pira, contro ogni precetto cattolico, quella dove un piattino di porcellana da caffè si mosse tra le lettere dell’alfabeto rivelando una parola che subito diventò una pista investigativa, Gradoli, «stranamente» subito abbandonata.

Via Gradoli, dove abitava Mario Borghi, alias Mario Moretti. Una delle tante anomalie di un paese dalle mille contraddizioni, ma soprattutto di verità negate e enigmi irrisolti, di stragi feroci e poteri occulti, massonici, fascisti, trasversali. Ma non è solo questa la storia del libro, ce ne sono molte altre in questa trama di trame dove con l’abilità del bricoleur Iovane riconnette frammenti dispersi, riporta in superficie e ricompone nello stesso palinsesto la memoria di commissioni d’inchiesta, cronache giornalistiche, servizi televisivi, libri, epistolari «in pubblico» o privati, suggestioni letterarie, persino una parte della propria autobiografia, creando uno strano ibrido che mescola appunto verità testimoniali, reportage e invenzione dal vero, cioè una fiction, una immaginazione sociologica, che però nasce dalla realtà, dal contesto di riferimento, da un clima storico.

UN ALTRO SOLCO del libro è il dibattito che si sviluppa tra gli intellettuali, qualcosa oggi di impensabile, che coinvolge Italo Calvino, Leonardo Sciascia e persino Eugenio Montale, ma è l’autore di Racalmuto la coscienza inqueta di questo libro, il suo segreto ispiratore, lo sguardo più profondo su quella vicenda. Quando lo scrittore a capo della Commissione Moro incontra Giulio Andreotti, «piegato, cifotico» vede in lui la personificazione dei poteri italiani che odia, e confessa di detestarlo «per il suo machiavellismo paranoico, per il cinismo che ha ereditato dalla curia romana. Lo stesso cinismo rappresentato dai sonetti del Belli e dai personaggi di Alberto Sordi. La miopia verso il bene e la presbiopia verso il male», come aveva rivelato a un giornalista nel corso di una intervista.