La prima ondata ha messo in difficoltà l’Italia, ma essere stati il primo paese europeo colpito dall’epidemia ci ha fornito un alibi per gli errori e l’impreparazione del nostro servizio sanitario. Eppure, il governo ha parlato di «modello Italia» a proposito della nostra risposta alla pandemia. Se la strategia italiana fosse stata davvero vincente, l’annunciata seconda ondata avrebbe dovuto trovarci meno impreparati. È andata così?

Il confronto tra la prima e la seconda ondata a questo punto è difficile. Innanzitutto, perché la seconda ondata è tutt’altro che conclusa. Inoltre, in tutti i paesi è notevolmente aumentata la capacità di effettuare tamponi: questo impedisce di confrontare i casi positivi della primavera con quelli dell’autunno, in gran parte asintomatici. Per valutare la bontà delle scelte fatte dal governo in maniera più oggettiva, è utile confrontare la situazione italiana con quella degli altri paesi europei paragonabili per popolazione sulla base del numero di decessi. Questo dato, infatti, è meno sensibile al numero di tamponi effettuati (ma non del tutto).

Alla fine della prima ondata, l’Italia è stato il paese con il più elevato numero assoluto di morti dopo il Regno Unito. Hanno perso la vita 40 mila cittadini britannici contro i 35 mila italiani e i quasi 30 mila di Spagna e Francia. Anche in rapporto alla popolazione, il bilancio di Spagna, Regno Unito e Italia, tra i paesi maggiori, è parimenti disastroso: 60 morti ogni centomila abitanti in Spagna, 59 morti nel Regno Unito e 57 in Italia. Ma è probabile che il dato italiano sia sottostimato del 30 per cento circa. Tra il numero ufficiale delle vittime di Covid e l’eccesso di mortalità rilevato durante la seconda ondata (47 mila vittime più dello stesso periodo degli anni precedenti) ci sono circa 12 mila decessi che possono essere in gran parte attribuiti al Covid. Si tratta di persone morte senza un tampone positivo, un evento piuttosto frequente nei giorni del picco epidemico di marzo-aprile. Anche negli altri paesi è successo, ma in misura minore.

La seconda ondata non è andata molto meglio della prima, almeno finora. Anche se non è ancora finita, e anzi i maggiori paesi sono nei pressi del picco della curva epidemica, il numero di vittime rischia di essere analogo a quello registrato in primavera. Il paese più colpito tra estate e autunno in Europa è stata la Russia in cui la prima ondata non si è mai del tutto esaurita, con circa 30 mila decessi da luglio a oggi. In Europa occidentale, il paese con le perdite maggiori è stata la Francia, con oltre 22 mila morti. Seguono nell’ordine Italia (19 mila decessi), Spagna e Regno Unito (quasi 17 mila) e Polonia, con 14 mila vittime. In rapporto alla popolazione, davanti a Francia (33 vittime ogni centomila abitanti) e Italia (31), tra i paesi maggiori c’è solo la Polonia (38). La seconda ondata, infatti, sta colpendo durissimo nell’est Europa risparmiato dalla prima. Tra i primi dieci paesi (minori compresi) per numero di vittime ogni centomila abitanti dominano quelli dell’ex-Jugoslavia, più Repubblica Ceca, Romania e Bulgaria. Solo Belgio e Spagna, a ovest, entrano tra i primi dieci.

Sono numeri destinati ad aumentare perché la fase discendente della seconda ondata durerà diverse settimane – soprattutto in Italia dove è iniziata in ritardo. Dunque, è probabile che a fine anno il bilancio della seconda ondata si riveli disastroso per il blocco di Visegrad, ma altrettanto pesante anche nei paesi già colpiti dalla prima ondata come il nostro. Dovevamo «uscirne migliori», e invece l’ecatombe di marzo e aprile non è servita a niente.