C’è molta confusione a proposito del dibattito sulla riforma della cittadinanza. Confusione dovuta al fatto che gli attuali protagonisti conoscono solo alcuni passaggi della battaglia che la riguarda. Anche per questo gli interventi e le prese di posizione sono molto di pancia, in base a ragionamenti a volte fuorvianti. Cominciamo dal inizio: nel 2005 nasceva la Rete G2 – Seconde Generazioni, per porre all’attenzione della politica e della società italiana, la questione della riforma della legge per la concessione della cittadinanza italiana. Avevamo scelto di definirci «seconde generazioni» e non «nuovi italiani», o altro, perché queste sono categorie che si confondono con altri soggetti. Volevamo che si capisse che ciò che chiedevamo era la riforma degli articoli della 91/92 (legge per la concessione della cittadinanza) che riguardano i figli di immigrati. E il termine «seconde generazioni» definiva perfettamente il soggetto sociale che voleva mettere in discussione lo ius sanguinis come criterio principale per la concessione della cittadinanza italiana. Volevamo che fosse chiaro che sulla scena ci sono le generazioni che non hanno deciso di immigrare nel paese in cui vivono attualmente, ma che qui in Italia ci sono nate e/o cresciute!

Grazie ad anni di lavoro e di impegno, e grazie al sostegno di moltissimi attivisti, sindacalisti, intellettuali, insegnanti e persone comuni, nel 2011 è partita una Campagna nazionale promossa da tutte le maggiori organizzazioni della società civile. Tra settembre 2011 e marzo 2012 furono raccolte più di 200.000 firme. Sottoscrizioni di cittadini italiani che volontariamente si sono fermati ai banchetti e hanno sostenuto la proposta. Dopo qualche audizione in Parlamento e un complesso lavoro di mediazione in Commissione Affari Costituzionale da parte della relatrice On. Marilena Fabbri, si arrivò quindi ad un testo di mediazione, che il 13 ottobre 2015 passò alla Camera dei Deputati con una ampia maggioranza.

A questo punto il disegno di legge sarebbe dovuto passare al Senato, per essere discusso e approvato in tempi rapidi. Ma il Pd era ostaggio di Renzi, e ne era contento in fondo, e preferì far passare di tutto ma non questa legge che aspettavamo da anni. La legge al Senato non venne mai votata, né discussa in aula. La Riforma approvata alla Camera permise a Renzi e al Pd di etichettarla come riforma di parte, non più, come aveva sempre sostenuto la Rete G2, come una riforma apartitica.

La riforma della 91/92 è diventata una pedina strumentale nelle contese politiche tra leader a sinistra: della serie «sei alternativo ai populisti/sovranisti?», «allora dimostralo, approva lo iusSoli o lo iusCulturae!». Per poi, naturalmente, occuparsi di altro.
Va chiarito un altro punto: la destra italiana, di cui qualcuno spesso millanta la disponibilità a far passare una riforma al ribasso della 91/92, è completamente cambiata. Ha fatto del «no» alla riforma, anzi al suo inasprimento nei regolamenti e procedure, il suo cavallo di battaglia.

Questa destra è completamente diversa da quella di Fini, presidente della Camera che chiese di incontrare Rete G2 nel 2009; adesso parliamo di un centro destra che ha fatto del no alle prime e seconde generazioni il suo tratto distintivo! E qui arriviamo a un altro punto cruciale. È tale l’egemonia di questa destra su questi temi che perfino riportare da 4 anni a 2 anni i tempi di attesa per una riposta alla domanda di cittadinanza per residenza sembra una richiesta impossibile, anche se è cambiato governo e ministro dell’interno.

I tre anni strappati alla ministra Lamorgese sembrano a tanti una vittoria. Ci vuole altro per cambiare le regole che ci impediscono di essere italiani. Siamo tutti rimasti incastrati nei giochi di palazzo, anche se ci sembra di stare sempre in piazza a manifestare!
* Sociologo e cofondatore rete G2