Il tentativo di Luigi Di Maio di infilare la riforma costituzionale nel calendario della crisi è destinato a fallire. Il capo politico uscente del Movimento 5 Stelle ha annunciato ieri l’avvio di una raccolta di firme tra i deputati per chiedere la convocazione straordinaria – «di emergenza» ha detto lui – della camera, così come previsto dall’articolo 62 della Costituzione. Al punto in cui siamo, più ancora che la battaglia di principio, ai 5 Stelle – e magari non solo a loro – interessa guadagnare almeno cinque di vita per la legislatura (che diventerebbero dieci nel caso qualcuno riuscisse a chiedere il referendum). La mossa di Di Maio non è piaciuta nemmeno a tutti i grillini, perché riduce le possibilità di rielezione dei parlamentari alla prima legislatura. E infatti le 210 firme che sono tutte nella disponibilità del gruppo 5 Stelle non sono state immediatamente raccolte. Ma ci sono anche ragioni formali che bloccano la mossa disperata di Di Maio: la convocazione straordinaria della camera è una cosa, l’ordine del giorno è un altro ed è affidato ai capigruppo e al presidente. In più la riforma è già in calendario a settembre, quindi la via corretta sarebbe quella di votare – ma non ci sono i numeri – una nuova calendarizzazione. Infine le comunicazioni di Conte in senato, il dibattito e le dimissioni travolgeranno tutto prima ancora che la camera possa muovere un passo.

Ma la riforma costituzionale che riduce drasticamente i parlamentari (da 630 a 400 deputati e da 315 a 200 senatori), alla quale manca solo un ultimo voto (ne ha già passati tre) a Montecitorio senza che sia possibile emendarla, può avere una second life ed è già al centro di tutti gli scenari e di tutte le proposte che vengono fatte in queste ore per evitare le elezioni in autunno. Del resto c’è sempre una riforma costituzionale o elettorale da completare, è stato così in tutti i passaggi delicati della infinita transizione italiana. Stavolta ci sarebbero entrambe.

Se infatti si riuscisse a mettere in piedi un nuovo governo diverso da quello semplicemente di garanzia elettorale, bisognerebbe dargli una prospettiva più ampia della sola, difficilissima, legge di bilancio per sterilizzare l’aumento dell’Iva. Altrimenti sarebbe come offrirebbe a Salvini la rivincita in primavera, nel voto, su un vassoio d’argento. Il messaggio che è stato recapitato ai grillini da diverse parti del Pd, ma non dal suo segretario, è che la loro bandiera del taglio dei parlamentari potrebbe essere il piatto forte di un nuovo esecutivo di fine legislatura. E questo malgrado il Pd abbia fino a qui detto peste e corna della legge costituzionale che taglia i parlamentari, alla quale ha votato sempre contro. Una battaglia di opposizione combattuta in prima linea da esponenti renziani. Com’è possibile?

In realtà, al di là delle motivazioni tattiche, c’è una comune ispirazione di fondo tra le battaglie anticasta di Di Maio e quelle di Renzi, che non per nulla aveva chiesto di votare sì al referendum sulla sua riforma costituzionale per «tagliare le poltrone». È vero poi che il Pd, come Leu, ha contestato duramente questo taglio dei parlamentari, soprattutto in relazione all’altro progetto di riforma, l’introduzione del referendum propositivo, che invece si è arenato, ma lo ha fatto, il Pd, soprattutto perché non riformava abbastanza. Non prevedeva, cioè, accanto al taglio di deputati e senatori un ritocco al bicameralismo paritario, modificando le funzioni di camera e senato. Al Pd i 5 Stelle hanno concesso solo, con un’altra legge, l’estensione ai 18-21enni del voto per il senato – incidentalmente un altro favore a Salvini vista la sua presa sull’elettorato giovanile.

L’offerta ai 5 Stelle, però, si completa con la richiesta di una revisione della legge elettorale per la quale basta un tratto di penna: la cancellazione della quota uninominale e la sua conseguente trasformazione in una legge pienamente proporzionale con sbarramento esplicito al 3%. Per i grillini non c’è un problema di coerenza perché in questi anni hanno sostenuto tutti i sistemi elettorali, mentre per i renziani sarebbe la smentita di una lunga militanza per il maggioritario. Ma sopratutto il ritocco è utile a frenare la corsa di Salvini e Meloni, che resterebbero lontani dalla maggioranza assoluta nelle due camere. Anche Leu è pronta a votare il ritorno al proporzionale, in questo modo si diminuirebbe in parte la penalizzazione della rappresentanza prodotta dal taglio dei parlamentari. La soglia di sbarramento implicita resterebbe alta, ma in compenso questa legislatura potrebbe (provare a) durare.