La Sea Watch 3 può tornare nel Mediterraneo a salvare vite umane. Lo ha stabilito ieri un’ordinanza del Tribunale civile di Palermo in seguito a un ricorso della Ong tedesca. L’imbarcazione era stata sequestrata lo scorso 29 giugno, dopo aver attraccato nel porto di Lampedusa per far sbarcare i 42 naufraghi salvati 17 giorni prima. Il 26 giugno la capitana Carola Rackete disobbedì agli ordini della Guardia di Finanza ed entrò nelle acque territoriali italiane. Nella notte tra il 28 e il 29, a fronte della situazione di stallo imposta dalle istituzioni competenti, attraccò al molo commerciale dell’isola, mandando su tutte le furie l’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini. Per quella decisione Rackete fu messa ai domiciliari e denunciata per «resistenza a pubblico ufficiale e resistenza o violenza a nave da guerra». Il 2 luglio la Gip di Agrigento Alessandra Vella non convalidò le misure cautelari, in quanto Rackete aveva agito «in stato di necessità».

DURANTE QUESTI CINQUE MESI E MEZZO, però, la Sea Watch 3 è rimasta bloccata in porto. Inizialmente per un sequestro di tipo probatorio, cioè finalizzato a consentire a chi svolge le indagini di raccogliere le prove necessarie. Il 25 settembre la procura di Agrigento ha disposto la restituzione dell’imbarcazione alla Ong che però non ha potuto mollare gli ormeggi perché nel frattempo, il 2 dello stesso mese, la Guardia di finanza di Palermo aveva notificato un sequestro di tipo cautelare. Questo provvedimento amministrativo dipendeva da un’interpretazione della prima versione del decreto sicurezza bis che lo prevedeva per i casi di reiterazione con la stessa nave di divieti e limitazioni disposti dal ministero dell’Interno con quelli di Difesa e Trasporti e Infrastrutture. Nel caso di Rackete la reiterazione sarebbe stata quella di attraccare senza autorizzazione dopo aver violato l’ordine di rimanere fuori dalle acque territoriali.

LA DISCIPLINA DELLE SANZIONI AMMINISTRATIVE prevede che il soggetto interessato dal sequestro cautelare possa fare opposizione all’autorità competente, in questo caso la prefettura di Agrigento. Se questa non ne dispone il rigetto entro 10 giorni, l’opposizione è automaticamente accolta. Cosa che però non è accaduta nel caso di Sea Watch. Nonostante il silenzio della prefettura, infatti, la nave non ha ricevuto l’autorizzazione a lasciare il porto dall’Ufficio circondariale marittimo di Licata (che fa capo alla stessa prefettura). Per questo il Tribunale di Palermo ha dato ragione alla Ong giudicando il sequestro non fondato giuridicamente. «Una bellissima notizia che pone fine a mesi di ingiusta detenzione, frutto dell’applicazione distorta di una legge incostituzionale – commenta Giorgia Linardi, portavoce di Sea Watch – Continuiamo a chiedere l’immediata abrogazione delle leggi sul pacchetto sicurezza, le cui conseguenze sono ancora attive su persone rimaste senza protezione e status giuridico e organizzazioni e rispettive navi sotto sequestro».

POCHE ORE PRIMA DEL PRONUNCIAMENTO del tribunale, Mediterranea Saving Humans aveva diffuso un appello ai ministeri dell’Interno, della Difesa e delle Infrastrutture e Trasporti per il dissequestro del veliero Alex e del rimorchiatore Mare Jonio. Insieme alla nave Eleonore della Ong Lifeline sono le imbarcazioni umanitarie al momento bloccate nei porti italiani. «Il sequestro amministrativo delle navi di soccorso è stato un atto di pura ostilità politica – scrive Mediterranea – È tempo che una politica coraggiosa ripristini lo stato di diritto. Adesso basta, basta una firma». La prima in calce al testo è stata apposta da Roberto Saviano.