Per il quarto venerdì consecutivo un determinato movimento studentesco è tornato in piazza ieri in una quarantina di città da Nord a Sud, da Torino a Milano da Roma a Bari o Palermo, per chiedere l’abolizione dei «Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento» (l’«alternanza scuola lavoro», ndr.) e ricordare Giuseppe Lenoci e Lorenzo Parelli, i due studenti morti a distanza di tre settimane mentre svolgevano progetti di stage in formazione lavoro.

QUESTO MOVIMENTO è in gestazione già dall’ottobre-novembre 2021, quando ci sono stati importanti cortei e, a Roma sono stati occupate 50 scuole. E oggi ha portato altre occupazioni a Torino e provincia (oltre 40) e a Milano. Come in ogni movimento anche in questo si forma un’intelligenza collettiva che alimenta intenzioni comuni. «Ci sentiamo appartenenti ad un movimento – ha detto uno studente di Torino – Lo stiamo ricostruendo. Pensiamo che più siamo, prima riusciamo a risolvere i problemi». Per comprendere il significato di questo movimento prendiamo un’affermazione fatta ieri dal ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi: «I Pcto non sono avviamento al lavoro ma orientamento alla vita. Lavoriamo per accompagnare i ragazzi a conoscere il contesto in cui operano, e questo deve avvenire nel massimo della sicurezza» ha detto. Ciò che oggi gli studenti contestano è i significati di «orientamento» e di «vita» alla quale dovrebbero essere «accompagnati». È uno scontro di natura etico-politica, dunque.

«SE NEL PEGGIORE dei casi si muore, e nel migliore si rimane precari a vita», il significato dei «Pcto» indicato da Bianchi assume un significato inquietante. E non solo per gli studenti di Genova che hanno fatto questa analisi. Bianchi però ha ragione quando dice che i «Pcto», obbligatori per il triennio delle superiori e condizione per accedere alla maturità, non è «un avviamento al lavoro». Infatti è una forma di disciplinamento dello studente in quanto manodopera che dovrebbe farsi concava e convessa e adeguarsi a un’idea astratta di mercato del lavoro. Per questa ragione ieri abbiamo letto su cartelli, e striscioni, slogan dal sapore antico: «Contro la scuola dei padroni». Con queste e altre formule si intende criticare la subalternità dell’istruzione ai valori dell’impresa. Questo sistema non va bene, vogliono un «altro modello di scuola», opposto a quello dell’«aziendalizzazione della scuola pubblica» che «sappia educarci al pensiero critico e non alla riproduzione continua di nozioni». «La scuola deve formare coscienze, non lavoratori precari». È il problema che questo governo, non diversamente da altri, non sembra volere considerare. E come potrebbe: la mentalità di chi lo dirige, e della classe dirigente di cui è l’espressione, è nata negli anni del realismo capitalista. Gli studenti, invece, appartengono alla seconda (o terza) generazione che inizia a comprendere le conseguenze di essere considerati «capitale umano» e, in più, destinati allo «sfruttamento». «Le nostre vite valgono più del vostro profitto» hanno detto gli studenti palermitani che hanno occupato simbolicamente il provveditorato regionale.

L’ESIGENZA di un ripensamento strutturale anche della formazione al lavoro sembra essere, fino ad ora, meno sviluppata. In realtà questo movimento la considera parte integrante dell’«alternanza scuola-lavoro», un’espressione intesa come la parte per il tutto. è a questo che si riferiscono quando chiedono «sicurezza» per non «morire di scuola». Ma è questo il problema enorme: la sicurezza manca anche nel mercato del lavoro dove muoiono tre persone al giorno, in media. Comunque il governo ha annunciato un doppio tavolo: con le regioni e tra il ministero dell’Istruzione e del lavoro. Agli studenti è sembrata una risposta a dir poco debole rispetto a quanto è avvenuto. E rischia di ripetersi.

UNA RIFORMA della formazione professionale era stata annunciata nei mesi scorsi per i 4.324 istituti tecnici e professionali perlopiù orientata ancora di più verso le imprese, in vista degli investimenti del «Pnrr». Su 9 miliardi di euro, 1,5 andranno agli Istituti tecnici superiori dove si sostiene ci sia un tasso medio di occupazione a un anno dal titolo che in alcuni territori arriva al 90%. Ma così si rischia di discriminare territori dove non ci sono imprese integrabili in un sistema ispirato alla «formazione duale». È un’altra critica emersa durante il corteo di Roma.

A TORINO ieri c’è stato un episodio fortemente mediatizzato: un’azione alla sede di Confindustria, avvenuto durante il corteo con oltre 4 mila persone, è stata trasformata in un caso. Separati da una cancellata semichiusa, si osserva in un video di Local team di sei minuti, un gruppo ha cercato di entrare mentre dall’altra parte c’era un drappello di carabinieri. La ministra dell’interno Lamorgese ha dato solidarietà a sette, tra carabinieri e un poliziotto, rimasti feriti nella colluttazione. «Si rischia – ha detto – di far passare in secondo piano le legittime aspettative degli studenti portate in piazza». «Azioni che rendono vane le nostre idee e i nostri buoni propositi» ha detto un rappresentante della locale consulta degli studenti. «La violenza che gli studenti hanno visto in queste settimane è stata quella della repressione, di 40 teste spaccate e feriti in piazza Arbarello il 28 gennaio – è stato replicato – Il dato politico più importante è che gli studenti contestano la Confindustria. È successo ovunque, non solo a Torino». Considerati i toni delle reazioni registrate ieri le polemiche continueranno.

***Anche ieri un’altra strage: il lavoro ha fatto tre morti: un camionista, un pescatore, un operaio

Mentre gli studenti protestavano contro un sistema scuola-lavoro che ha iniziato a provocare morti anche tra i loro coetanei in Italia la strage dei lavoratori è continuata. Poche ore prima dell’inizio dei cortei, un camionista genovese di 49 anni è morto in Svizzera mentre lavorava. L’uomo, Fabio Luccherino, dipendente della Varani Trasporti e delegato della Filt Cgil di Genova, è rimasto schiacciato da una cassa che si è sganciata da un muletto durante le operazioni di scarico della merce. L’incidente è avvenuto nella cittadina svizzera di Inwil nel Cantone Lucerna. «Ogni volta che succede, ormai troppo spesso, ci sembra di consumare un inutile rito quando diciamo che non si deve più morire sul lavoro e bisogna investire in sicurezza per evitarlo. Ma vogliamo continuare a farlo, anche se ci sembra di urlare al vento, visto che la strage continua. Basta morti sul lavoro!» ha detto Marco Gallo della Filt Cgil.

All’alba a Monasterace, in provincia di Reggio Calabria. Un pescatore e titolare di un peschereccio, Kamel Kaffaf, di 57 anni, di origini tunisine da vent’anni viveva a Roccella Ionica. È morto all’alba di ieri in un incidente sul lavoro avvenuto al largo di Punta Stilo. L’uomo è deceduto per le gravi ferite riportate dopo essere stato risucchiato, rimanendo poi incastrato, dai cavi di acciaio di un verricello, uno strumento utilizzato per issare le pesanti reti a bordo delle imbarcazioni da pesca.

Ore 13,30 a Cervia, provincia di Ravenna. Un operaio originario di Comacchio, ieri non era ancora noto il suo nome, è morto a causa della rottura del braccio di una gru usata per potare gli alberi di via Capua, a pochi passi dal centro della città. L’incidente è avvenuto alle 13.30. Aveva 44 anni ed è stato ammazzato dal collasso del suo mezzo di lavoro. Le indagini sono in corso per accertare l’accaduto e le responsabilità.