Alla kermesse Pd sulla scuola organizzata domenica scorsa nell’auditorium di via Palermo a Roma Renzi ha ribadito che «gli scatti di merito per gli insegnanti sono giusti». Proprio quelli che la consultazione online sulla «Buona Scuola», che ha impegnato per mesi il governo, ha bocciato. Il 60% dei partecipanti a quella che è stata definita, con un filo d’enfasi, «una grande consultazione», ha bocciato il piano di Renzi sugli scatti stipendiali maturati in base al «merito» individuale e non sull’anzianità dei servizio. Il 46% è per un sistema misto su stipendio e merito, il 14% per l’anzianità.

L’opposizione della «base» telematica auscultata dal governo è comprensibile. Secondo le intenzioni dei meritocrati al governo, la riforma prevederebbe aumenti stipendiali fino a 60 euro ogni tre anni, ma solo per i 2/3 degli insegnanti (il 66%). E non è detto che gli aumenti agli stipendi tra i più bassi dei paesi Ocse arriverebbero sempre alle stesse persone ogni triennio. Stando al progetto iniziale della riforma, la valutazione del «portfolio di crediti e titoli» dei docenti dovrebbe essere effettuata all’interno degli istituti da un nucleo specializzato.
Al termine di questo esame, l’interessato potrebbe trovare una brutta sorpresa. Secondo una serie di proiezioni, pubblicate da tempo su riviste specializzate come «Orizzonte Scuola», al nono anno il docente pur meritevolissimo potrebbe essere scavalcato in classifica da un collega valutato diversamente. Sempre che questo non accada già al terzo o al sesto anno. Nel sistema competitivo concepito sotto il governo Renzi, lo stipendio sarà una questione di probabilità. Entrare nel 66% dei docenti premiati non è da tutti. E non può essere per sempre.

Poi c’è l’aspetto oscuro della riforma, di cui pochi ancora parlano. In questo sistema saranno tutti a perdere a turno. Secondo le proiezioni, infatti, un docente con 42 anni di servizio potrebbe arrivare a perdere fino a 26 euro mensili, 312 all’anno. E lo Stato potrebbe risparmiare 200 milioni annui per 650 mila docenti.

Queste sono le ragione della bocciatura alla quale il Partito Democratico, pur abbozzando, aveva promesso di rimediare all’indomani della sonora sconfitta. L’ipotesi sarebbe quello di adottare un sistema misto (merito+anzianità) di cui, ad oggi, non si conosce ancora il contenuto. L’uscita di Renzi di domenica scorsa sembra avere cancellato questo difficile passaggio per la sua riforma, ma il problema resta. In attesa del consiglio dei ministri di venerdì 27 che approverà un decreto legge e disegno di legge delega, non hanno risolto uno dei nodi principali della «riforma», l’aritmetica politica che governerà la «meritocrazia» nella scuola «per i prossimi trent’anni». Questo è il respiro che Renzi intende dare al suo operato.

Per ragioni comprensibili alla propaganda i chiaroscuri sono stati messi in secondo piano e ci si è soffermati più volentieri sulle cifre dei docenti neo-assunti dal 1 settembre. Per loro è stato stanziato circa 1 miliardo di euro nel 2015, altri 3,7 quelli ancora attesi. Una stabilizzazione mai vista in Italia, sulle cui cifre oggi non c’è certezza. Per mesi si è parlato di poco più di 148 mila assunzioni dalle graduatorie in esaurimento (GaE). Oggi si oscilla tra le 120 mila e le 134 mila, comprensive dei vincitori del «concorsone» del 2012 e degli idonei. Di questi, tra i 100 e i 110 mila arriverebbero dalle GaE che però non saranno svuotate del tutto, a differenza di quanto promesso. Lo saranno secondo necessità: il numero delle cattedre (tagliate dalla riforma Gelmini) e dall’effettiva disponibilità dei fondi stanziati. Se così fosse, questo significa che, al momento, il governo non ha i soldi per fare le assunzioni annunciate.

La riduzione del numero dei neo-assunti dalle GaE è avvenuto in ragione della sentenza della Corte di Giustizia Europea del 26 novembre scorso che ha imposto all’Italia di assumere i circa 90 mila docenti precari che hanno maturato 36 mesi di servizio negli ultimi cinque anni nel rispetto della direttiva europea 70 del 1999 contro la reiterazione dei contratti a termine. Il governo sembra essere intenzionato ad assumerne dai 14 ai 28 mila. E solo una minima parte lo sarà dal primo settembre. Questo significa che è possibile un piano pluriennale di assunzioni e che le supplenze non spariranno. A tutto questo bisogna aggiungere gli altri precari, che pur avendo i titoli e le abilitazioni, non sono rientrati nelle GaE e restano nella seconda fascia. Su questa categoria ci sono altre voci. Il listino delle quotazioni parla di 2 mila supplenti su posto vacante nell’organico di diritto: 755 dalla seconda fascia, 163 dalla terza. Dalle GaE sarebbero 873 in possesso del requisito (avere lavorato più di 36 mesi). Cifre irrisorie rispetto ai 90 mila esclusi. Dal Cdm dovrebbe arrivare anche un nuovo regolamento sulle classi di concorso, oltre alla conferma di un nuovo concorso nel 2016 per assumere altri 40 mila insegnanti.

In attesa di venerdì, mentre al Miur si macinano bozze su bozze, restano alcune, forti, certezze. Per i docenti resta il blocco del contratto, fermo al 2009, gli stipendi più bassi d’Europa. Da questo tourbillon di anticipazioni, resta escluso il personale Ata.