Come per tutti i beni comuni, anche l’importanza della scuola viene riscoperta in momenti difficili come questo; per il suo essere tessuto connettivo tra i giovani e tra le generazioni, legame sociale ed esistenziale. Molte famiglie hanno saputo di più della scuola dei loro figli, con le lezioni online che entrano nelle case, rispetto a mille colloqui o alle malinconiche riunioni degli organi collegiali.

E quel tenere vivo il legame con la scuola è un balsamo per ansia e solitudine. Non per tutti, purtroppo; e questo è un punto decisivo per il futuro. La forza empatica delle lezioni dal vivo, corpi, fiati, gesti, sorrisi, suggerimenti è una ricchezza insostituibile, ovviamente. La scuola non è la stessa senza il suo «corpo a corpo» quotidiano; ma strumentazioni, competenze, facilità di accesso (a cominciare da wifi e fibra ottica per tutti gli angoli del Paese), sono necessari non certo per sostituire (come qualcuno forse vorrebbe) ma per arricchire la didattica, integrarla; o anche perché, di fronte a nuove emergenze, come per le mascherine ai medici, non si spenga la luce della scuola e non si debba sempre ricominciare da capo.

Ma sia chiaro: questa è un’emergenza, la scuola è un’altra cosa. Anche per questo ci sembra saggio non riprodurre dinamiche di valutazione che andrebbero cambiate in circostanze normali, figuriamoci adesso. È un tema importante oggi, lo sarà ancor più domani, quando non dovremo ragionare solo degli strumenti, ma di una pedagogia inedita prima dell’era digitale; quando si cercherà di capire come cambia davvero il modo di imparare e di pensare, non solo di comunicare; come governarla nel senso della libertà e dell’eguaglianza.

Forse questa vicenda tragica ha fatto emergere quanto la scuola e l’insegnamento siano relazioni complesse, che non si rinnovano solo con gli strumenti tecnologici, ma a partire dall’umanità concreta dei giovani e dei bambini, delle giovani e delle bambine. Le loro fragilità e ricchezza viva sono il nucleo di ogni relazione educativa. Oggi la battaglia decisiva si gioca negli ospedali; e l’ammirazione per medici e infermieri, come errori, fragilità e ingiustizie devono diventare un programma per il poi. Ma – in una forma meno tragica – davanti ai computer di casa, nelle classi virtuali, si gioca un’altra battaglia decisiva.

È cominciata già coi provvedimenti restrittivi (perché adolescenti e giovani erano, naturalmente ma pericolosamente, i più riottosi alla distanza e alla rinuncia), e ora abbiamo milioni di adolescenti e bambini tra quattro mura – e fino a quando? – che più di tutti soffrono questa situazione. Fare scuola, anche se virtualmente, significa tantissimo: impegnare il tempo insieme, socializzare le proprie paure e farci i conti, scrivere e leggere, tenere vivo il lumicino della scuola in una normalità stravolta; percepire il futuro e desiderarlo, assai più di prima, e non essere schiacciati dal presente da incubo. Una comunità formativa, se non è questo, in questo momento, a cosa serve?

Ma in casa, ora, si sperimenta anche un rovesciamento possibile: la dimensione digitale come strumento di legame con la realtà che sta fuori, non solo bolla virtuale. Ciò che spesso isola i ragazzi dai rapporti reali, oggi li tiene vivi, li fa discutere con gli insegnanti anche di ospedali pubblici, di tasse che vanno pagate, di solidarietà verso i più deboli. Dare un senso allo stare in casa non è la stessa battaglia delle corsie d’ospedale, certo, ma ci aiuta ad essere uniti e consapevoli.

La scuola lo fa sempre, ma oggi lo scoprono in molti e lo capiscono meglio anche tanti ragazzi. Non, dunque, fare dell’emergenza la norma, ma al contrario, cogliere ciò che oggi ci manca e farne una priorità della democrazia, senza mediazioni. De Cristofaro, sottosegretario all’Istruzione, ha scritto: «Ognuno di noi può contare moltissimo nel mettere le basi per il mondo che verrà…Più democrazia o autoritarismo. Oggi li vedo possibili entrambi…Sta a noi, anche in condizioni di forzato isolamento, spingere affinché lo sbocco sia uno e non l’altro».

Bene. La scuola della Costituzione da questa esperienza deve saper trovare la spinta per tornare ad essere centrale nella coscienza non dei soli docenti. E, come per la sanità pubblica e l’importanza dello Stato, bisognerà saper trasformare l’esperienza in coscienza civile e averne memoria.