La scuola è già aperta. Sei milioni di studenti italiani con i loro 600 mila docenti frequentano l’85% delle sedi scolastiche dallo scorso settembre. Chiusi, quasi ininterrottamente da un anno, sono gli istituti superiori: parliamo del 30% del totale (MIUR: 2.621.816 studenti; 295.722 docenti).

I rischi, dunque, li abbiamo già corsi quasi tutti. E il sistema ha tenuto botta, non per fortuna ma grazie all’impegno di chi le scuole le ha abitate: docenti, Ds, genitori, studenti. Chi ci avrebbe mai scommesso solo qualche mese fa.  D’altra parte come potrebbe il 5% della popolazione, quello peraltro meno contagioso e contagiabile secondo l’ISS, mettere in pericolo un sistema-paese solo perché fruisce di un trasporto pubblico già insufficiente? 

Dice Anita, la dodicenne torinese che fa lezione davanti alla sua scuola: «Mi aspettavo che aprissero. Ho ricevuto gli orari dalla preside. Mi sento delusa e presa in giro».

Cosa può venire da una generazione, per sua sfortuna numericamente bassa (20%), prigioniera da un anno? Tenerla sotto scacco comincia a sembrare un’eccezione di costituzionalità.

Le scuole aperte, per quanto malconce, hanno garantito un presidio democratico e sociosanitario sui territori mentre denunciavano la loro condizione di degrado: la scuola ha bisogno di tutto così come una società sana ha bisogno di lei. Mi chiedo come si possa cambiarla una scuola disabitata però.

Ci aiuta a orientarci l’epidemiologa Sara Gandini: «La riapertura della scuola non ha avuto alcun ruolo nella diffusione della seconda ondata di contagio in Italia né, come mostrano i dati della Campania, ne ha avuta la chiusura. I protocolli sono efficaci: a un caso positivo seguono molti test che individuano anche asintomatici e prevengono i cluster – e per tranquillizzare docenti e sindacati – Il tasso di positività degli insegnanti risulta più alto (ma sempre tra ½), per via dei maggiori test eseguiti nelle comunità scolastiche, che rintracciano anche gli asintomatici, e della minore suscettibilità dei giovani al contagio (0,25) che non ne abbattono la media come nella popolazione generale». (Lo studio completo è consultabile sulla piattaforma MedRxiv). 

Giovanni Figà Talamanca, Assessore alla Scuola del Municipio I di Roma, governa 3.000 bambini in 23 scuole dell’infanzia, con 100 sezioni, e 11 nidi: «È andata meglio delle aspettative. Contagi e quarantene sono risultati relativamente pochi e sempre molto circoscritti. Dopo alcuni giorni di rodaggio anche il raccordo con la ASL ha funzionato bene».

Giovanni Simoneschi reggente del liceo scientifico Evangelista Torricelli a via Del Forte Braschi a Roma, e Ds della primaria e medie di Largo Pio V, afferma che: «Nel difficile contesto la macchina è andata avanti molto bene grazie alla collaborazione dei docenti. Le scuole sono ambienti sicuri e la mia esperienza è andata in quel senso. A mostrare una difficoltà reale è il sistema dei trasporti verso cui anche la scuola deve dare un contributo. L’ATAC ci ha inviato il Piano Trasporti, la Regione Lazio ha attivato gli screening. Se faranno la loro parte, direi che apro con serenità».

Dice Gabriella P., genitore dell’IC Piazza Winckelmann sulla Nomentana a Roma: «Nelle classi delle mie figlie abbiamo avuto un ragazzo positivo e hanno attivato subito la Ddi o DaD per i 14 gg. di quarantena. Alcuni per scrupolo hanno fatto fare il tampone ai figli. In prima elementare, invece, il tampone è stato organizzato dalla ASL dopo 10 gg: tutti negativi. La dirigente è sempre disponibile a rispondere ai dubbi di questo periodo così confuso. La nostra scuola non ha avuto focolai interni, è importante. Questa è la nostra esperienza».

Sempre a Roma, il Liceo Socrate è rimasto aperto con tutti in presenza fino al decreto di chiusura. E così l’istituto artistico Enzo Rossi con le prime di 20 alunni in presenza e le altre a rotazione e con qualche classe in quarantena. All’IC Visconti sono rimasti aperti anche i corsi extrascolastici, hanno attivato la DaD pure per il singolo studente, e molte lezioni si sono svolte all’esterno. Terry  Marinuzzi del coordinamento La scuola Che Vogliamo di Bari, dice che l’IC Zingarelli, una secondaria di I° con 800 studenti: «Non ha mai chiuso, non ha avuto classi in quarantena, la collaborazione scuola-famiglie è stata piena e servizio d’ordine all’ingresso e all’uscita l’hanno svolto i genitori». 

In sostanza, tutte le sedi interpellate (l’elenco è lungo) sono rimaste aperte, hanno attivato ingressi differiti, distanziamento, collaborazione tra doventi, genitori, ASL, igienizzazione, quarantene, test, DaD di supporto. E sono riuscite a mantenere nella vita dei ragazzi/e un equilibrio quotidiano. 

Bisogna viverla la scuola in questa fase per restituirla alla propria vocazione. Chiusa demanda la sua governabilità all’emergenza – pedone a perdere (e non regina) sullo scacchiere dei partiti, come quest’ultimo slittamento denuncia con vergogna – oltre ad escludere i docenti dal (re)immaginare un sistema paese troppo vecchio per pensarsi al futuro.

La domanda rimane aperta: c’è qualcuno che le vuole aperte queste superiori? Non finché i problemi non saranno risolti. Ma quali siano i problemi e quali saranno i risolutori è una partita ancora tutta da giocare. A porte chiuse per ora.