Simonetta, scomparsa quattro anni fa, è stata con le sue battaglie , belle, allegre, appassionate per una scuola «libera» , capace di farsi carico di tutte e tutti, perché, come amava ripetere, citando Piero Calamandrei, «la scuola è un organo costituzionale». Il luogo cioè capace di rimuovere gli ostacoli, combattere le diseguaglianze e valorizzare le differenze, la scuola aperta a tutte e tutti.

La scuola di tutte e tutti, appunto, che non poteva limitarsi a registrare e a perpetuare differenze sociali, di cultura e di «status» , per cui già dai dieci anni erano segnati destini e prospettive di ragazze e ragazzi. E la battaglia per la scuola media unica e l’abolizione del cosiddetto «avviamento», negli anni Sessanta fu appunto la concretizzazione di queste premesse.

Certo, in quegli anni, si fecero molti passi in avanti sul terreno del diritto allo studio: si elevava di tre anni l’obbligo scolastico e si inaugurava il percorso di una nuova fase della storia della scuola nel nostro Paese, quella della cosiddetta scuola di massa.

Furono anni intensi nei quali nulla era dato per scontato, e molti tasselli del quadro complessivo mancavano totalmente, pensiamo per esempio a nuovi contenuti, a una nuova cultura della scuola. Percorsi che arrivarono tempo dopo con i «Nuovi programmi della scuola media» e in seguito quelli della scuola primaria.

Furono quelle straordinarie esperienze, vissute per la prima volta anche dagli insegnanti, impegnati insieme a docenti universitari e a rappresentanti del Ministero, nella stesura dei «nuovi» programmi. Così come furono chiamati, per molti anni. E Simonetta si impegnò con la sua cultura e la sua passione in quel lavoro quando si arrivò alla stesura dei programmi della scuola elementare. Perché rappresentavano la sua profonda cultura, le sue passioni, la sua generosità, le sue battaglie.

Era sempre in prima fila in battaglie belle e necessarie, penso alla lotta contro la dispersione scolastica attraverso la creazione di una «rete di scuole». Perché sapeva bene che non erano lotte che potevano fare le scuole singolarmente, ma che occorreva «lavorare insieme su compiti reali”». E per citare un altro esempio fu in prima fila nella lotta contro la pessima riforma Gelmini. Che più che una riforma fu un impoverimento del sistema, con tagli «feroci» ai finanziamenti.

E in piazza scesero le scuole: gli insegnanti, gli studenti, le famiglie. Simonetta con la sua «capacità» di comando riuscì a seguire e organizzare quel movimento. Insomma a governarlo con mano leggera , ma con una forte capacità decisionale.

E quella rete continuò a funzionare anche negli anni successivi, quando divenne responsabile-scuola di Sel ( Sinistra, Ecologia e Libertà). Per lei la battaglia- principe era la lotta alla dispersione scolastica. «I ragazzi che si perdono», come diceva don Milani. Ma anche la lotta ai tagli pesanti che ci furono negli anni successivi. Sapeva bene che ridurre la spesa per l’istruzione metteva in discussione la battaglia contro le diseguaglianze, quella battaglia che è stata tanta parte delle sue convinzioni e delle sue azioni.

E non a caso intitolò la scuola dove fu dirigente per molti anni Icqbal Masih, che aveva speso la sua vita nella lotta al lavoro minorile e nella battaglia per l’istruzione di bambini e bambine. Ucciso barbaramente perché ogni reazionario sa bene che la cultura è un vero e proprio pericolo per i regimi oscurantisti. E lei che ha sempre combattuto «in trincea», tornando sempre a scuola, lasciando anche attività più prestigiose, lo sapeva bene.

Perché Simonetta ha ragione: la scuola, il sapere se sono strumenti di emancipazione possono tutto. Anche cambiare il corso della cose.
Ci manca Simonetta, la sua cultura, la sua passione per l’impossibile, che qualche volta è riuscita a realizzare. Ciao Simonetta.