Era il 1999 quando l’architetto tedesco Jorg Friedrich vinse il bando di gara indetto dal Comune di Genova, insieme all’architetto genovese Roberto Melai, per progettare un nuovo complesso didattico nel cuore del centro storico. Dopo quindici anni, la scuola è stata aperta il 27 gennaio scorso, per un costo di 6 milioni di euro, poco più del sostegno statale al Maxxi, decisamente un investimento sul futuro delle nuove generazioni, a cui anche i ministri Bray e Carrozza dovrebbero ispirarsi. L’amministrazione Doria, che non si è ancora distinta per scelte urbanistiche coraggiose, eredita dalle giunte precedenti questo piccolo gioiello architettonico. Peccato, però, dover sottolineare come la direzione lavori affidata al Comune e non ai progettisti, abbia determinato un decadimento negli arredi, proprio in quei dettagli – lampade, sanitari e accessori – che avrebbero dovuto essere scelti accuratamente e che invece risultano essere molto simili a quelli in uso nel dopoguerra.

L’edificio è un complesso che comprende due sezioni di scuola primaria a tempo pieno e altrettante di secondaria, per un massimo di 468 alunni, 16 aule e 3 aule speciali dedicate ai laboratori. Il progetto è la sintesi tra il rigore tedesco e quello genovese. Se da una parte l’intuizione di Friedrich è stata la rotazione del volume superiore, un parallelepipedo su un basamento in pietra, dall’altra, l’approccio di Melai ha consentito di concepire l’intero edificio come una machine à habiter radicata nel tessuto storico. In questo senso, Melai ha reso omaggio a Gardella nella citazione della vicina facoltà di architettura, che l’architetto milanese aveva realizzato nel 1990, ponendo l’accento sul problema dell’inserimento di una architettura contemporanea in un contesto consolidato come un centro storico. Innesto perfettamente riuscito, proprio grazie alle dimensioni volumetriche e al basamento che conferisce solidità all’insieme, connettendo l’intero edificio alla città e alla trama dei caruggi che delimitano l’isolato.

Così questa solidità a terra consente al parallelepipedo, al cui interno si snodano le aule, gli uffici e la biblioteca (collocata al piano terra per enfatizzarne l’uso pubblico aperto al quartiere), di galleggiare nel vuoto. Il galleggiamento, poi, è rimarcato dai tagli verticali delle finestre asimmetriche, che richiamano le finestre di Gardella, e consentono di far entrare nella scuola frammenti di vita quotidiana. Un sistema di brise-soleil in legno, scorrevoli, modulano gli effetti di luce e ombra su tutti i fronti, disegnando differenti composizioni sulle facciate.

La rotazione non è solo esterna, ma anche interna attraverso un sistema continuo di scale in marmo, che si compie attraversando lo spazio e obbligando lo sguardo a dirigersi sempre in direzioni diverse. Così l’occhio viene attratto dalle grandi aperture vetrate che illuminano l’interno, verso est e verso ovest, creando una continua alternanza. Ciò consente di rompere la cortina muraria esterna dando luce anche ai carruggi fino al tetto, dal quale le visuali sulla città ne raccontano la complessità più di qualsiasi parola. Complessità di una città superba che non riesce ad esimersi però dal consueto mugugno e ammettere che una scuola così fa onore a Genova e può rappresentare un esempio, non solo per gli amministratori ma anche per le Soprintendenze, spesso poco aperte alla contemporaneità nel costruito, soprattutto per i progettisti.