La maxi-consultazione promossa dal governo sulla «Buona Scuola» ieri ha consegnato un risultato imprevedibile. Il piano Renzi che prevede l’aumento dello stipendio al 66% dei docenti grazie ai crediti accumulati in base al merito è stato bocciato. Solo il 35% ha votato «meritocrazia», il 46% si è espresso per un «sistema misto» tra servizio e merito. A questo bisogna aggiungere chi è rimasto sulle posizioni tradizionali: il 14% vuole un sistema basato sull’anzianità.

Una sonora sconfitta del governo. Era prevedibile, dopo le grandi manifestazioni studentesche e l’opposizione dei docenti ad una riforma per la quale si è speso il presidente del Consiglio in persona. Persino una consultazione che doveva dare una veste statistica e computazionale alla trasformazione della scuola in senso aziendalistico e neoliberale ha registrato un dissenso diffuso nel paese.

Nella conferenza stampa celebrativa tenuta ieri al ministero dell’Istruzione a Roma (con un concerto), si è cercato di sorvolare sul senso di questi dati, anche se sono state riconosciute «criticità». La partecipazione è stata alta, si è detto. Gli accessi al sito labuonascuola.gov.it lo confermerebbero: 1 milione e 300 mila visite; 207 mila «discussant» online; 200 mila partecipanti ai 2400 dibattiti che avrebbero coinvolto il 70% delle scuole italiane. Dati che suffragano l’esito principale di un sondaggio pubblicizzato dalla Rai a reti unificate e che ora si è trasformato in un boomerang che renderà necessario, forse, un aggiustamento del tiro.
Il ministro dell’Istruzione Gianini ha sottolineato che l’81% dei consultati ha espresso parere positivo sulla proposta di basare lo stipendio dei docenti sul merito e non sull’anzianità. «Sta qui il valore politico di una consultazione» ha scandito.

Nelle 73 pagine del libretto che riporta i risultati si scopre che ad essere «molto d’accordo» è l’87% dei dirigenti scolastici, interessati alla nascente figura del «preside manager» che chiamerà direttamente i docenti per comporre quella che nel gergo neoliberale viene definita la «squadra». Favorevole anche il 70% dei genitori che hanno partecipato alla consultazione. «Meno favorevoli», o del tutto contrari, il 64% dei docenti e il 56% degli studenti. Anche in questo caso si tratta della maggioranza dei soggetti direttamente coinvolti nel lavoro didattico. Al di là dell’impostazione del sondaggio, che rischia di creare una conflittualità tra i dirigenti e le famiglie, da un lato, e i docenti “conservativi” dall’altro lato, la proposta renziana non sembra avere convinto.

Cerchiamo allora di capire la ragione di questo rovescio. Il piano Renzi sulla scuola prevede l’abolizione degli scatti stipendiali e l’introduzione di crediti per meriti didattici, titoli o incarichi nella burocrazia scolastica. Il totale di questi «crediti» genererà l’aumento degli stipendi. Il primo scatto verrà maturato 4 o 5 anni dopo l’assunzione e andrà a regime entro tre anni. Questi aumenti riguarderanno solo il 66%, cioè i due terzi. A questa discriminazione sull’intero corpo docente, se ne aggiunge un’altra all’interno di questo 66%. I meritevoli non saranno sempre le stesse persone. Pur «eccellenti» nel loro lavoro dovranno passare il testimone a qualcuno che corre più veloce di loro. Secondo alcune proiezioni, circolanti tra sindacati e giornali specializzati, questo meccanismo porterà a tagli sulle retribuzioni pari tra i 200 e i 331 milioni di euro. Se è vero che qualcuno percepirà fino a 9 mila euro in più all’anno, tutti perderanno da 45 a 72 euro al mese. Dopo avere bloccato i contratti, ora l’austerità si finanzia con i soldi dei docenti e con la corsa alla «meritocrazia». Del resto, lo stesso sondaggio traduce le perplessità sul rischio di trasformare la scuola in un supermercato dei crediti.

Per capire tali perplessità bisogna leggere le consultazioni svolte nelle ultime settimane da periodici specializzati e dai sindacati. Un sondaggio di «Orizzonte Scuola», ad esempio, ha registrato l’88% di «No» alla riforma «meritocratica». In un’altra consultazione promossa dalla Gilda i «No» sono stati l’84,3%. La chiamata diretta dei presidi-manager è stata respinta con il 76%. Oltre 4 mila lavoratori della scuola, compreso il personale Ata disconosciuto dalla riforma Renzi-Giannini, si sono espressi negativamente nell’indagine «la scuola giusta» della Flc-Cgil. Il tentativo di queste consultazioni è stato quello di ricomporre una «comunità» scolastica che invece il governo vuole dividere nella crociata per la rifondazione del «patto educativo».
In una consultazione tesa a fidelizzare dall’alto il pubblico rispetto a decisioni già prese è emerso il sostegno all’altro punto chiave: la chiusura delle graduatorie in esaurimento (Gae) e l’assunzione di 148 mila docenti precari a settembre. Sostegno anche alla gestione dell’organico funzionale che per la riforma spingerà i neo-assunti a muoversi di città in città alla ricerca di un posto e alla mobilità tra le cattedre. Il sondaggio dà corpo al futuro di questi docenti: alle scuole primarie dovranno servire per gestire le supplenze. Nella secondaria sarà funzionali al recupero.

Nessuna parola sui circa 100 mila precari esclusi dall’assunzione a settembre. Per la Corte di giustizia europea devono essere assunti quelli che hanno 36 mesi di servizio continuativi negli ultimi cinque anni. Il governo ieri ha ribadito la linea: per loro c’è il concorso nel 2016 (40 mila posti). Gli altri dovranno saltare il turno e restare disoccupati.