È dedicato al grande sceneggiatore triestino Sergio Amidei, il premio che porta il suo nome arrivato alla 33a edizione. Già al lavoro fin dal 1938, più famoso per i film del dopoguerra e la sua collaborazione con Rosellini e poi con De Sica, Lizzani, Castellani, il Monicelli di “Un borghese piccolo piccolo”, Ferreri e Scola, firma più di 150 film. Gorizia che lo ricorda ogni anno, per quest’edizione ha preparato un programma speciale al Palazzo del Cinema – Hiša Filma e Parco di Villa Coronini Cronberg, dal 18 al 24 luglio. Ha appena inauguato ieri con l’«Amidei Kids», seguito dai primi film della retrospettiva integrale dedicata a Carlo Mazzacurati recentemente scomparso e della sezione «La Grande Guerra. L’occhio del cinema», con film introdotti da brevi filmati o documentari su Gorizia e la regione. Una tavola rotonda si terrà domani alle ore 18.30 al Kinemax sala 2 sul tema «In trincea e sul fronte. Il cinema contro la guerra», primo di una serie di incontri. Al centro della manifestazione ci sono naturalmente i premi: il Premio Internazionale alla Migliore Sceneggiatura «Sergio Amidei» sarà assegnato tra i film europei usciti nella stagione 2013-2014 (concorrono “Il capitale umano, Locke, Blue Jasmin, In grazia di Dio, Still Life”) e il Premio alla Cultura Cinematografica attribuito quest’anno alla trasmissione radiofonica (Radio3) Hollywood Party, una rarità nell’offerta del servizio pubblico generalista per qualto riguarda il livello critico degli interventi. Si intitola «Horror politico degli anni ’60 e ’70» la rassegna che quest’anno celebra un racconto tipicamente italiano, lo scenario originale di orrore quotidiano su cui si sono esercitati non senza divertimento e con eco internazionale alcuni registi riscoperti in seguito dalla critica, dopo che delle loro intuizioni, rimanipolazioni letterarie, uso ironico dello splatter avevano ampiamente ispirato autori americani in film diventati celebri come l’”Esorcista”, stilemi ancora oggi utilizzati e citati. Mario Bava, Anthony Dawson (si badi bene, non «Daysies», non gli si addiceva) il celebre Antonio Margheriti nel suo pseudonimo internazionale, e poi un pugno di esordi che avevano scelto il genere come elemento di libertà creativa: Elio Petri, Aldo Lado, Corrado Farina. E il maestro Mario Bava con il suo film preferito “Reazione a catena” del ’71, l’eredità di una contessa ambita da un architetto (ma un entomologo è all’erta). Un pugno di personaggi assai anomali presero infatti la scena del nostro cinema: non più disoccupati o piccola borghesia, ma professionisti diventano protagonisti anche nelle commedie con grande sciorinamento di professioni. È l’epoca dei medci della mutua, delle dottoresse del distertto militare, le supplenti e le infermiere: horror e commedie erotiche camminano di pari passo, la censura ha allargato improvvisamente le maglie e forse questo è l’elemento politico più significativo perché nel momento di maggiore forza delle lotte operaie, dopo tanti anni di chiusura totale vengono concessi erotismo e violenza servono egregiamente da astuto diversivo, da azione di disturbo dall’impegno politico, a favorire lo svuotamento delle piazze a favore delle sale cinematografiche. Non a caso il film che chiude la rassegna, Salò di Pasolini del ’75 appartiene a un altro periodo, e la sua stessa drammatica vicenda chiude un’epoca. Nei film in programma arrivano come protagonisti celebrità del cinema come Franco Nero e Vanessa Redgrave (nel film di Petri), Daliah Lavi nel “Demonio” (’63) di Brunello Rondi girato a Matera, un film che lavora sulla superstizione nel «meridione», Mismy Farmer nel “Profumo della signora in nero” (’74) di Francesco Barilli, dove lei interpreta la direttrice schizofrenica di un laboratorio di chimica, fidanzata, colpo di genio, con un tipo appartenente a una setta che vuole importare a Roma pratiche cannibaliche. O Dominique Bosquero in “Contronatura”di Margheriti, coproduzione italotedesca del ’69, ambientato in un misterioso chalet dove le sedute spiritiche sono lo spunto per mettere a nudo una serie di segreti e soprattutto erotismo. Jean Sorel e Ingrid Thulin sono i protagonisti di “La corta notte delle bambole di vetro” di Aldo Lado (’71), che, ambientato all’obitorio di Praga, dove un giornalista americano in realtà è solo in coma, aveva originariamente come titolo “Malastrana” (immaginiamo i commenti dei distributori italiani)