A darne l’annuncio, nel pomeriggio di ieri, la prima ministra Nicola Sturgeon. A partire dalle 18 di domani e fino al 25 ottobre, su tutto il territorio scozzese si applicheranno nuove restrizioni volte al contrasto della pandemia di Covid-19. Si tratta di misure certamente meno severe rispetto a quelle della prima ondata, tanto che si è parlato di mini-lockwdown. Forti tuttavia le restrizioni su bar, ristoranti e pub, cui non sarà però imposta la chiusura ma limitazioni negli orari d’apertura (6-18) e il divieto di servire alcolici. Nessuna limitazione invece per scuole e università. Né obbligo di mascherine all’aperto.

Riconfermata la rule of 6, che limita a sei il numero di persone autorizzate a incontrarsi all’aperto, a patto che appartengano a massimo due gruppi di convivenza. Più restrittive le misure nell’area di Edimburgo e Glasgow, ove sono vietati gli eventi pubblici anche all’aperto e fortemente sconsigliati l’uso di trasporto pubblico e i viaggi non essenziali.

Questa la risposta del governo scozzese nel giorno in cui si registrano ben 1.054 nuovi positivi su circa 17mila tamponi, a fronte di una popolazione di cinque milioni e mezzo di abitanti. Si tratta del numero di nuove infezioni più alto mai registrato. La premier Sturgeon ha tenuto tuttavia a precisare che, stando alle più recenti stime, le infezioni degli ultimi giorni rappresentano comunque solo il 13% dei livelli effettivi del contagio durante il mese di aprile, quando i numeri reali della pandemia erano di molte volte maggiori rispetto a quelli registrati.

Ciononostante, la cosiddetta prima ondata era stata relativamente clemente con la Scozia, ove i numeri erano stati ben diversi da quelli del resto del Regno Unito, e segnatamente dell’Inghilterra. A tale risultato hanno certamente concorso politiche di prevenzione dimostratesi oggettivamente più appropriate rispetto a quelle del governo centrale di Westminster, una comunicazione alla cittadinanza più chiara ed equilibrata e la preesistenza di un sistema sanitario nazionale più solido. È così che la pandemia ha contribuito, manco a dirlo, al rafforzamento delle istanze indipendentiste scozzesi. Mentre l’Inghilterra procedeva ancora nell’ordine di centinaia di casi giornalieri, nei mesi estivi i numeri della pandemia erano in Scozia per lo più in singola cifra.

Ma con l’inizio della seconda ondata le precedenti differenze, almeno in termini percentuali, si sono pericolosamente appianate. Dei circa 35mila casi di positività registrati fino ad oggi dal sistema sanitario scozzese, poco meno della metà è emersa negli ultimi due mesi. In linea con le tendenze della maggioranza degli stati europei, è invece decisamente più lenta la crescita del numero delle ospedalizzazioni e dei decessi, 2.533 sino ad oggi. Si tratta tuttavia di un dato meno suscettibile a variazioni repentine, lasciando presagire una più lenta ma inevitabile salita, tanto più che l’età media dei nuovi positivi è tornata a salire.

La speranza del governo scozzese, che ha intanto annunciato un piano di 40 milioni di sterline per il sostegno alle attività più colpite dalle nuove restrizioni, è che l’introduzione di questo lockdown temporaneo possa agire da circuit-breaker. Il mini-lockdown dovrebbe cioè spezzare la catena del contagio prima che un lockdown più lungo e dannoso per l’economia nazionale si renda necessario.