Nella storia della letteratura di viaggio i vagabondi sono sempre stati descritti come forieri di sfortune, persone non gradite, poco più che bestie di cui diffidare. Accadeva perché non indossavano una maschera. Che cosa si intendeva per maschera? La somma delle norme etico-sociali che costituivano il legame evidente dell’individuo con la sua società, la sua appartenenza a un gruppo etnico.

La maschera rendeva un soggetto immediatamente riconoscibile, di conseguenza affidabile, di conseguenza accettabile. Il forestiero, al contrario, risultava privo di maschere, dunque sfuggente, dunque pericoloso. Nessuno sa cosa aspettarsi da uno straniero, non vive secondo le nostre regole, e non sappiamo se le seguirà mai: un forestiero è diverso. Nel suo ultimo romanzo, Amare tutto, uscito per i tipi di Einaudi Stile Libero (pp. 218, 17 euro), Letizia Pezzali riesce in un’impresa ambiziosa: far cadere la maschera della borghesia. E lo fa usando il grimaldello della lingua.

I PERSONAGGI principali sono cinque: Lucia, Francesca e Massimo – in piena luce; Pietro ed Edoardo, i mariti di Lucia e Francesca, che giganteggiano con il potere delle ombre. Tutto il romanzo ruota attorno a una infinita conversazione che si svolge tra Lucia e Francesca, nella casa in collina di quest’ultima, dove le due donne, con i rispettivi figli, sono andate a rifugiarsi dopo un incidente che ha coinvolto l’azienda in cui lavora Pietro. È un discorso pericoloso e ineludibile che, poco a poco, mette all’angolo la vita delle due protagoniste, mentre la presenza di Massimo fa saltare i riferimenti borghesi dietro i quali la prudente e timorosa Lucia si è sempre nascosta.

Lo stile colto e ricco di Pezzali stacca, lentamente ma inesorabilmente, la maschera di dosso a ciascuno dei cinque personaggi, con conseguenze inimmaginabili. Notevoli sono i rimandi alla letteratura, uno su tutti La maschera della morte rossa di Edgar Allan Poe: anche Lucia e Francesca scappano in una villa isolata per evitare di essere contaminate dalle esalazioni dell’azienda. Anche Il profumo di Patrick Süskind ha un suo ruolo: l’odore è, per Lucia, la corsia preferenziale attraverso cui la donna (ri)conosce, riducendo l’intelligenza a un istinto animale, il fiuto. Per quanto la realtà in cui le due donne si ritrovano a confrontarsi sia distante dal rischio di una malattia fisica, non è immune, tuttavia, dall’influenza – talvolta distruttiva – delle parole.

IL TEMA del doppelgangër si impone continuamente, senza sconti; non esiste disagio che non si possa superare guardando, nonostante le resistenze strutturali e sociali, l’altro da sé, il diverso. Lucia, nell’isolamento protetto dalla natura, rinasce a uno stato quasi creaturale e si riappropria dei limiti del suo corpo, e grazie a questa presa di coscienza, inizia a concepire la vita che si smargina al di là di sé stessa. Pezzali lascia magistralmente la storia in medias res, continueremo a chiederci cosa ne sarà di Lucia e di Francesca, ma la letteratura è proprio questo: pone le domande giuste, non dà risposte.