Angers ha trent’anni. Il titolo, Premiers plans ovvero «prime inquadrature», evoca da una parte dello schermo i giovani registi, che il festival vuole scoprire, e dall’altra parte i cinefili in erba che qui scoprono film vecchi e nuovi da tutto il mondo.

 

 

 

Pur essendo aperto a tutti, Premiers plans è ritagliato su misura dei liceali delle «options cinéma»: un insegnamento teorico e pratico introdotto anch’esso trent’anni fa. Gli studenti vengono dalla Loira, dalla Vandea, dalla Sarthe. Per una settimana seguono avidamente le sezioni, le conferenze, le letture. Anch’io ho accompagnato i miei. Sono quaranta e studiano con me e con la mia collega Fabienne Letertre nel liceo Bellevue di Le Mans. Tornando in treno, ho improvvisato con alcuni di loro una piccola tavola rotonda.

 

 

 

Quali sono i film che hanno lasciato il segno?

 

 

Bixente: Per me Strimholov (Marina Stempanska). È un primo film ucraino. Mi è rimasto in testa tutta la settimana. Per le sue inquadrature lente e in un certo senso noiose ma giuste. Molto poetiche. È il genere di film che non capita di vedere in sala. Ma da ieri sera penso solo a Tesnota. Mi è parso di capire che non sia piaciuto. Anche all’inizio aveva lasciato perplesso. Strana estetica televisiva, il formato in 4/3…
Arthur: Anche per me questi sono senza dubbio i due film del festival.

 

 

Avete fatto degli incontri?

 

 

Arthur: Io ho avuto uno scambio con una simpatica vecchietta.
E dei cineasti ? Ad Angers è facile incontrarne…
Bixente: Ho conosciuto uno studente della Femis che aveva un corto nella sezione «Film d’école». Il suo film non è un granché. Ma lui è simpatico. Mi ha spiegato tutto sulla Femis. Non credo che ci andrò.
Hugo: Per me il miglior film è un cortometraggio:Genoa city. Parte come una sorta di documentario assurdo sui genitori del regista che da trent’anni seguono la serie più trash della televisione:Les Feux de l’amour. All’inizio sembra idiota. Piano piano diventa una riflessione sull’Algeria, il tempo che passa, la storia. Veramente bello.

 

 

E un lungometraggio?

 

 

Hugo: The Meaning of Life. Tutta la retrospettiva Monty Python è una goduria. Adoro il loro umorismo.
Non vi pare invecchiato?
Arthur: Al contrario… O forse sì, ma nel senso che oggi sulla sessualità e sulla religione non si scherza più così liberamente. C’è un certo pudore. Oppure si cade nel volgare. È proprio per questo che fa piacere vedere un film leggero come The Meaning of Life.
L’altra retrospettiva era Almodovar. Conoscevate il suo cinema?
Arthur: Non proprio… Qui ho visto Volver. Se si toglie il colore latino, c’è una certa affinità di tema con Tesnota. Una storia di famiglia dove c’è un po’ di tutto: stupro, incesto… Chi più ne ha…
Hugo: Sì, però in Tesnota non c’è nessuna ironia.
Arthur: Almodovar si prende molto meno sul serio.
Pierre: A proposito di famiglie… Per me la cosa migliore è la retrospettiva a tema (Drôles de familles, Strane famiglie). Mi interessa come programmazione. Oltretutto è un po’ quello che facciamo per prepararci a presentare il nostro progetto all’esame: riunire un certo numero di referenze intorno ai concetti chiave del nostro cortometraggio: genere, personaggio, luogo… Tra gli altri ho visto Buon giorno di Ozu, Teorema di Pasolini e Boyhood di Linklater. Di Boyhood avevo sentito parlare quando era uscito in sala. Ma l’idea di filmare per dodici anni mi sembrava una sbruffonata. Invece l’ho molto apprezzato.

 

 

Ieri sera, un vostro collega a urlato a Catherine Deneuve, presidente della giuria «la Tribune, la tribune, c’est une honte» (la lettera aperta è una vergogna!), in riferimento al testo che, insieme ad altre, ha firmato su «Le Monde» sostenendo il «diritto ad essere importunate». Che ne pensate ?

 

 

Bixente: È un mio amico, lui è molto impegnato politicamente… Non lo giudico per le sue idee. Del resto su Deneuve la penso come lui. Ma con la sua uscita poteva danneggiare tutto il gruppo.
Pierre: Io ci vedo la voglia di esporsi.
Hugo: Sì, però ha ragione. Al liceo ci chiedono in continuazione di riflettere sul bullismo, sui comportamenti inopportuni… E poi veniamo qui e la presidente della giuria dichiara che bisogna difendere il «diritto ad essere importunate». È assurdo.
Arthur: Appunto. Lei ha il diritto di non essere importunata.