A caldo, nella conferenza stampa di giovedì convocata per presentare il giro di vite sul Green pass, la ministra Gelmini aveva minimizzato. Tra i quattro ministri tutti politici e non tecnici incaricati di illustrare il provvedimento, per la prima volta senza Draghi, spiccava anche l’assenza dei leghisti. «Nessun problema: in cdm c’è stata l’unanimità e nell’incontro con le Regioni i presidenti si sono dichiarati d’accordo». Capitolo chiuso. La Lega che conta è quella. In parte è vero: i ministri e i governatori, cioè l’alto comando della vecchia Lega Nord, indicano oggi la direzione e se del caso non esitano a forzare la mano al «Capitano». Ma la Lega non è solo quella.

Nell’«altra Lega», quella cresciuta intorno al progetto di Salvini di trasformarsi in Lega nazionale e che due anni fa era la più influente, gli umori sono nerissimi. La sconfitta è cocente e a renderla tale è stato anche il tentativo del leader di tenere il piede in due staffe impegnandosi, più nell’apparenza che nella sostanza, in una battaglia impossibile. Ora il capo leghista prova a torcere la realtà a proprio vantaggio: «La Lega è riuscita a evitare ciò verso cui alcuni volevano andare: l’obbligo vaccinale». In realtà l’obbligo vaccinale non lo vuole nessuno. Lo stesso Draghi lo ha nominato puntando proprio sull’effetto annuncio, come fece a suo tempo col famoso «bazooka» che non ci fu poi bisogno di usare. Ma se il Green pass non darà i risultati sperati il governo si rassegnerà persino a usare la carta molto azzardata del vaccino obbligatorio, perché di imperativo categorico ce n’è uno solo: evitare nuove chiusure, costi quel che costi. Quello sarebbe però forse un boccone indigeribile anche per Salvini.

Per i Siri, i Borghi, le Donato e per molti altri, invece, è difficile mandare giù anche quel decreto sul certificato verde per 23 milioni di lavoratori che ancora mercoledì pomeriggio Salvini negava che fosse in procinto di essere varato. Proprio l’esigenza di alzare i toni per competere con la Meloni rampante impedisce oggi alla Lega di incassare l’unico successo ottenuto, peraltro proprio dal super governista Giorgetti: il calmiere sul prezzo dei tamponi coniugato con il prolungamento a 72 ore della validità del molecolare. La realtà è che oggi, e probabilmente ancor più dopo le amministrative, la Lega si trova nella stessa situazione lacerata, confusa, priva di bussola in cui versava prima dell’estate il M5S. Senza una drastica correzione di rotta da parte del leader finirà presto per diventare l’anello debole della maggioranza.

Problemi che non possono frenare Draghi. La posta in gioco sul versante sanitario ma anche e forse soprattutto su quello economico è troppo alta. Il dl non è ancora del tutto definito, va ancora limato ma da palazzo Chigi assicurano che si tratta solo di scegliere le formule più chiare per evitare equivoci. Ieri è stato puntualizzato che anche per gli statali la sospensione dello stipendio scatterà dal primo giorno di trasgressione, ma per loro la sospensione formale arriverà solo dopo 5 giorni nei quali chi è privo di Pass verrà considerato «assente ingiustificato».

In realtà è ancora in sospeso un punto decisivo: l’organizzazione dei controlli. Le linee guida, soprattutto per il pubblico, le detteranno i ministri Brunetta e Speranza ma sta ai datori di lavoro organizzare i controlli. Le Camere, come tutti gli organi costituzionali, dovranno decidere come autoregolarsi.