Oscillando tra il romanzo distopico e il saggio filosofico, Ben Okri torna a colpire dritto nel segno scoccando un dardo di fuoco al cuore delle nostre società civilizzate, affrontando con amaro sarcasmo e profondo acume tematiche chiave come la libertà e la sua privazione, la capacità di riflettere e di operare scelte individuali, la bellezza, il ruolo dell’artista e le coercizioni operate dall’alto. Una giovane donna, Amalantis, viene incarcerata per aver posto la semplice domanda «chi è il prigioniero?», mentre Karnak, intrapresa la ricerca dell’amata, si ritroverà sempre più invischiato e spaesato, perdendo certezze e punti di riferimento, non sapendo più da che parte stia la Verità o quali siano i mezzi per raggiungerla.
In un mondo che è una prigione, nazione, universo e corpo lo sono altrettanto; nella nuova ideologia l’obbedienza è la chiave e le autorità ne sono i custodi: «…i cittadini non avrebbero mai più dovuto pensare alla libertà. Non avrebbero mai più dovuto desiderare di essere diversi. La via del Paradiso consisteva nell’essere come tutti gli altri. Il segreto della felicità nel fare quello che ti veniva detto. Il nuovo mito penetrò a ogni livello della società, in ogni atto, in ogni insegnamento».

QUESTO LO SCENARIO desolante che si presenta al lettore sin dalle prime pagine di La libertà (La Nave di Teseo, pp. 412, euro 20), il nuovo romanzo dello scrittore africano, una storia di amore e perdita, appassionata richiesta di giustizia e carismatica analisi di come una società della post-verità minaccia il concetto di libertà. In un mondo dai confini geo-storici non definiti ma molto simile al nostro, speranza, diritti e verità sono diventate parole sospette che scompaiono dalla vita pubblica, disvelando impietosamente il malessere politico e culturale delle società contemporanee, poiché secondo Okri la trascendenza altro non è che un occhio più analitico sulla realtà. Com’è tipico dell’autore, mito antico e politica moderna si fondono in una narrazione allegorica a più livelli, infarcita di riferimenti biblici, della favola morale e del folclore popolare, talora oscura ed enigmatica ma contraddistinta da capitoli brevi e scarni e un periodare incisivo nella sua limpidezza, con tutta l’energia dirompente della narrazione sovversiva.

POETA E NARRATORE nigeriano di etnia Urhobo, con un’infanzia trascorsa a Londra, l’esperienza diretta della guerra civile in patria e il ritorno in Inghilterra per fuggire una condanna a morte pronunciata in seguito ad alcuni suoi scritti giovanili, Okri è considerato uno dei maggiori autori africani di tradizione postmoderna e postcoloniale, ed è stato paragonato a Salman Rushdie e Gabriel García Márquez.

DOPO UN ESORDIO letterario caparbio ma costellato di stenti materiali, ha vinto il Booker Prize nel 1991 con La via della fame (primo capitolo di una trilogia che ha per protagonista Azaro, bambino-spirito in una Nigeria devastata dalla guerra e altri orrori), affermandosi per il suo immaginario potente e una narrazione fuori dalla Storia, e per questo in realtà prepotentemente al centro della stessa. Con questo poderoso e intenso scritto, Okri riafferma che ci sono diverse percezioni della realtà e diversi linguaggi per esprimerla, rifugge categorizzazioni e non si riconosce nelle etichette a lui affibbiate (dal realismo magico al materialismo visionario passando per l’esistenzialismo), affermando piuttosto di perseguire la «logica del sogno» e il dilemma filosofico su «che cos’è la realtà» (e qui potremmo aggiungere «che cos’è la Libertà).

NONOSTANTE il pessimismo che innegabilmente pervade il testo, il sapore e la fascinazione mitica di cui è ammantato tradiscono la fiera e ostinata speranza di un artista convinto del suo ruolo salvifico di indagatore, come di quello della parola come unica in grado di cogliere l’essenza del mondo trascrivendone il lamento e preservandone l’umanità.