Gianfranco Bangone ci ha lasciati ieri, dopo un lungo ricovero in ospedale. Non si poteva andare a trovarlo. Non abbiamo potuto farlo neppure per un ultimo saluto. Lui non è morto di Covid, ma quel virus lo fatto morire in solitudine. E molti di noi hanno questo rammarico. Era stato il redattore scientifico del manifesto negli anni ’80 e ’90, prima di approdare ad altri lidi professionali. Puntiglioso, meticoloso, convinto delle sue posizioni quando le maturava, era un giornalista che si documentava in modo ossessivo: nulla era lasciato all’improvvisazione. Spaziava dalla medicina ai problemi della tecnologia industriale.

Quando c’era un incidente aereo o ferroviario, o una calamità naturale, ci ammaliava in riunione con dotte ricostruzioni. Qualche volta era a disagio perché in un quotidiano quasi tutto politico molti di noi consideravano i problemi della scienza un orpello. Non gli davamo l’ascolto che meritava. Carattere difficile, quello di Bangone. Riservato, chiuso, non facile al sorriso come solo molti nativi della Sardegna sanno essere. Eppure molto orgoglioso di essere sardo. Aveva proprio per questo una spiccata dote per l’amicizia, sincera e genuina. Qualche volta, nell’ultimo periodo, abbiamo ripreso a sentirci e a vederci. Abbiamo parlato pure di Covid. Ora è il momento degli addii.