Suona davvero come una grande sfida la Biennale veneziana «dal vivo» (ovvero musica, teatro e danza) di quest’anno, dopo che per tanti mesi la pandemia ha bloccato ogni forma di spettacolo. Una sfida che promette però di raccogliere frutti interessanti. È questa la prima edizione presieduta da Roberto Cicutto, e dai direttori di sezione da lui scelti l’anno scorso. Il fatto di essere egli stesso un «imprenditore» culturale (e aver ricoperto incarichi pubblici importanti, come la presidenza dell’Ente cinema) ha sicuramente influito sull’impronta ispiratrice che è insieme attenta alla ricerca del nuovo e alla capacità di coinvolgimento del pubblico. Basta scorrere i programmi presentati ieri per rendersene conto. A tutte le sezioni fa sostegno l’iniziativa della Biennale college, elaborata qualche anno fa dal precedente presidente Baratta, che garantisce (spesso con buoni risultati) un rapporto stretto con le nuove generazioni artistiche, che hanno avuto modo di mostrare negli ultimi anni capacità e carattere nell’elaborare e mettere in luce una propria poetica.

LA DIREZIONE del settore teatro è affidata da quest’anno a Ricci & Forte, un tandem di artisti che ultimamente ha lavorato più in campo lirico, dopo aver contribuito a dare «contemporaneità» alla prosa. Ora promette parecchio interesse la presenza (dal 2 all’11 luglio, titolo Blue per una classificazione cromatica) di nove spettacoli, di altrettanti artisti d’Italia e fuori, che costituiranno il percorso forte di quest’anno. Dal polacco Warlikowski (Leone d’oro alla carriera) noto in tutta Europa per regie molto «solide», fino al punto di sfidare qualche volta l’estenuazione, al genio davvero poliforme di Mundruczo, noto anche per i suoi film, inventore ogni volta di conturbanti messe in scena. Ma ci sono anche l’ormai classico Ostermeier che porta in scena, letteralmente, lo scrittore Edouard Louis e le sue brucianti intuizioni politiche, il genietto inglese Kate Tempest (Leone d’argento) con i suoi salti vorticosi tra disperazione d’oggi e citazioni della classicità, mentre tra gli italiani (non tutti nuovissimi) grande attesa suscita il ritorno di Danio Manfredini, con la propria anima poetica davanti all’orrore dei lager, testimonial i testi di Primo Levi e Hannah Arendt.

PER IL COLLEGE di teatro, tre i corsi: registi, autori e performer, selezionati tra una miriade di partecipanti. E una masterclass con ospiti importanti per un ideale passaggio di valori e capacità.
Per la danza (titolo First Sense, 23 luglio-1 agosto), la direzione di Wayne McGregor (grande sperimentatore, che senza avere formazione classica dirige da diversi anni il Royal Ballet che se lo tiene ben stretto) è già una garanzia di classe. Clamorosa una sua proposta: una stella intramontabile come Mikhail Baryshnikov «danzerà» un testo di Jan Fabre, un confronto che potrebbe rivelarsi esplosivo. Il Leone d’oro alla carriera va a una eroina leggendaria, la coreografa senegalese Germaine Acogny, che è stata capace di portare i suoi danzatori in riva al mare per danzare sulla sabbia la Sagra della primavera ispirandosi a quella di Pina Bausch. Poi ci saranno i cinesi Yin Fang e Xie Xin, il franco algerino Hervé Koubi con le sue movimentate ambiguità maschili (già visto ma poco conosciuto in Italia), qui con la vocalist ebreo-egiziana Natacha Atlas. Ma soprattutto si annunciano imperdibili le «installazioni» coreografiche che lo stesso McGregor porterà con la sua compagnia e il Random International nella Biennale architettura.

Infine, almeno in ordine cronologico (17-26 settembre, titolo Choruses – Drammaturgie vocali) il 65° Festival di musica contemporanea, affidato alla direzione della compositrice Lucia Ronchetti. Anche qui delle belle sorprese: l’indagine della curatrice viene non a caso introdotta dalle voci della Cappella Marciana, della omonima basilica. Una scelta simbolica e fondamentale, perché l’intento dell’intera rassegna sarà quello di cercare in quelle tradizioni medievali la radice delle visioni contemporanee della ricerca musicale.

LA BASILICA di San Marco quindi, considerata come spazio sonoro primario, in una indagine che proseguirà il prossimo anno nel recupero di quelle originali forme di teatro medievale. Un progetto impegnativo che già prevede di collaborare con la Fenice, il Conservatorio Benedetto Marcello, la Fondazione Cini, il tutto come dedica struggente allo scomparso Mario Messinis. Ma a fianco a quel grande patrimonio, che offrirà comunque grandi complessi corali veneziani e internazionali, Ronchetti si proietta anche prepotentemente nella contemporaneità. Con debutti assoluti e opere commissionate, e nomi di alto livello, che vanno da Kaija Sariaho (Leone d’oro) a George Lewis, e poi David Lang, Luca Francesconi, Sergei Newski, e ancora George Aperghis, Arvo Pärt, Sylvano Bussotti, Morton Feldman tra i molti. Passando dalla elaborazione contrappuntistica alla rilettura della tradizione africana al nuovo teatro vocale dalla Russia. Una cartellone molto ricco, capace di suscitare insieme curiosità e sorprese.