Matteo Renzi, in maniera non precisamente amichevole, su Repubblica (12 maggio) ha piazzato la prossima asticella del Pd al 25 per cento. Nicola Zingaretti, alla radio Rtl (20 maggio) lo ha corretto: «Per me vincere vuol dire che si arrivi al 22-23 per cento per riaprire la partita». Inutile girarci attorno, come sempre le elezioni europee non misurano solo i rapporti di forza a Bruxelles. Per il cortile italiano saranno un test determinante. Non solo per il governo gialloverde ma anche per le forze di opposizione.
TORNIAMO AL PD. Nel quartier generale del segretario dem la linea del Piave è il 21-22 per cento. Da lì in su sarà praticabile – non più che praticabile, sia chiaro – la linea del nuovo leader, quella di costruire un polo con ambizioni di governo. «Se superiamo il 22 per cento si riapre la partita della coalizione che può tornare a essere competitiva», spiegano le voci di dentro il Nazareno.

NON È SOLO UNA QUESTIONE di percentuali. Il Pd zingarettiano, insieme alla piccola galassia di sigle che già hanno detto sì a un nuovo centrosinistra per le politiche (+Europa, Italia in comune, Verdi, Futura, Art.1) punta a recuperare dai delusi di M5S e dall’astensionismo almeno due milioni di voti dal tonfo del 4 marzo, quando ha preso solo 6.134.727 voti (7.480.806 con gli alleati). Così tornerebbe ai livelli del 2013 (8.644.187 voti in proprio, 10.047.603 con la coalizione Italia bene comune). Lo spettro di essere spazzato via dalla dialettica M5S-Lega sarebbe scongiurato. Non una svolta, ma un po’ di benzina per il nuovo corso. A queste condizioni, viene spiegato «sarebbe difficile anche per Renzi organizzare una scissione».

TUTTO DIPENDE dal risultato, ovviamente. Fin qui l’ex segretario nega con forza la scissione. E Base Riformista, la corrente di Guerini e Lotti, sottolinea la propria affidabilità: «Noi abbiamo fatto campagna elettorale con impegno e lealtà, il fuoco amico è un ricordo del passato», fa sapere. Del resto i non-zingarettiani nella corsa si sono battuti per i loro candidati: il capolista Calenda, anche se non fa parte della ’famiglia’, Tinagli, De Castro, Da Monte, Bonafè, Danti, Ferrandino, Picierno e Chinnici. Poi ci sono i papabili nomi dell’area di Renzi, che ha il suo riferimento in Roberto Giachetti: il «liberalsocialista» Morando e la macronista Avanza. Comunque vada, spiegano sempre da Base Riformista, «resta però intatto il tema del voto moderato. O il Pd se ne fa carico costruendo una proposta che parli anche all’elettorato moderato o qualcuno dovrà farlo per non regalarlo a Salvini e a M5S». Molto dipende dalla durata della legislatura. Ma che la scissione non sia esclusa lo si legge da tanti segni. Anche dal fatto che Zingaretti ha rimandato la nomina della sua segreteria.

DA COME SI POSIZIONERÀ IL PD dipende anche il suo rapporto – o non rapporto – con gli izquerdisti. La lista La Sinistra (Sinistra Italiana, Rifondazione comunista, Altra Europa e una manciata di associazioni) lotta per acciuffare lo sbarramento del 4 per cento. Anche qui, come nel caso del Pd, si punta a riconquistare il voto dei 5 stelle anche grazie agli appelli degli intellettuali che hanno fatto pubblica ammenda dopo la sbandata grillina. Tutti i protagonisti e le protagoniste della lista (quattro capolista donne su cinque) hanno giurato che dopo il voto la lista non si spaccherà, come qualche precedente fa temere.

«METTIAMO UN PUNTO alla girandola dei simboli», ha detto nella piazza della chiusura della campagna Nicola Fratoianni, segretario di Si. «Abbiamo sfidato fin troppo le leggi della fisica. Il simbolo ora c’è. Abbiamo i numeri per iniziare una nuova storia. Servono scelte coraggiose per costruire l’alternativa. Ci vuole uno schema nuovo in Italia».

UNANIME DUNQUE L’INTENZIONE di proseguire verso le elezioni politiche, quando saranno, nella forma della «convergenza» alla spagnola. Nessuna rigidità di partito al proprio interno, dunque, pur assicurando un meccanismo democratico per scegliere leadership e alleanze. Dorsale del progetto, la battaglia culturale e politica per ricostruire un’area ampia di sinistra. Sullo «schema nuovo» però bisognerà ragionare. In molti si augurano l’alleanza Pd, M5s e La Sinistra. Uno «schema» che appare però troppo «schematico». O almeno fin qui impraticabile per il Pd, che si spaccherebbe e resterebbe fatalmente non competitivo per il governo.