Per una valutazione definitiva della manovra di bilancio, bisognerà aspettare non solo il varo dell’apposita legge, ma anche la presentazione di ben dodici disegni di legge ad essa «collegati», di cui si dà cenno, per titoli, nella Nota di aggiornamento al Def.

Per il momento, è possibile solo azzardare una valutazione sugli effetti che le scelte contenute nella Nota potrebbero avere sull’economia reale e sul quadro di finanza pubblica da qui ai prossimi anni.

L’operazione del governo si basa su una scommessa: che le misure «espansive» della manovra favoriranno una «ripresa vigorosa dell’economia italiana» e questo renderà maggiormente sostenibili i nostri conti pubblici (per il ministro Savona cresceremo come gli Usa in un’Europa che rallenta).

L’assioma è valido: stanti i sacrifici fatti dagli italiani in questi anni, il peggioramento dei conti pubblici non può che essere imputato al quadro stagnante della nostra economia.

Il problema è capire se le misure che il governo intende varare sono davvero utili ad un rilancio dell’economia. Non è impresa facile.

Colpisce, nondimeno, che, proprio il governo esibisca un certo ottimismo sulla crescita del nostro Paese nei prossimi tre anni, ricordando, al tempo stesso, che a livello internazionale si avvertono «segnali di rallentamento della crescita economica», per effetto, soprattutto, delle tensioni nelle relazioni commerciali.

Contraddizioni, che non possono sfuggire ad un’analisi attenta del documento.

Nel merito, le cose si complicano ulteriormente.

«Il rilancio degli investimenti è la componente cruciale per perseguire obiettivi di sviluppo economico sostenibile», è la tesi perentoria del governo.

Peccato che in una manovra che si annuncia di 37-40 miliardi, agli investimenti pubblici saranno destinati non più di 3 miliardi e mezzo (il crollo, tra il 2005 e il 2017, è stato del 20%).

Non solo. Al netto della sterilizzazione delle clausole di salvaguardia (12,4 miliardi), il pacchetto fisco/pensioni/reddito di cittadinanza non potrà essere finanziato tutto con l’extradeficit (e con le privatizzazioni): per far quadrare i conti servirà anche un’ulteriore sforbiciata alla spesa pubblica, che la Nota stima nell’ordine dello 0,2% del Pil (intorno a tre miliardi).

Con una mano si dà, con l’altra si toglie.

L’edificio, in breve, dovrebbe poggiare essenzialmente su due pilastri: il sussidio condizionato per i poveri (non chiamiamolo «reddito di cittadinanza»), che dovrebbe stimolare i consumi, e la riduzione delle tasse alle imprese, che dovrebbe favorire il rilancio degli investimenti privati.

Troppo poco per mostrare euforia, visti i risultati delle politiche «dal lato dell’offerta» largamente praticate in questi anni (le imprese, dal 2015 ad oggi, hanno beneficiato di oltre 60 miliardi di sgravi ed incentivi) e l’impatto, sull’economia, di alcune misure che, largheggiando, sono state definite «redistributive» (bonus, 80 euro, sussidi).

Ne è convinta anche Bankitalia, che ha parlato di «effetti congiunturali modesti» a proposito delle misure che il governo ha in serbo di varare con la legge di bilancio.

Nel frattempo, crescono i rendimenti sui titoli di stato (3,6% sul decennale, mai così alto dal 2014, spread sopra i 300 punti), rendendo del tutto aleatorie alcune previsioni sul disavanzo, sul debito, sulle risorse disponibili.

Tenendo ferma l’asticella del deficit al 2,4%, più salgono i tassi d’interesse, meno soldi si hanno da spendere per i cittadini.

Viceversa, tenendo ferme le previsioni di spesa, al crescere del «servizio del debito» aumenterà anche il livello di deficit sul Pil, oltre la soglia su cui il governo ufficialmente si è impegnato. A meno che il Pil non cresca ad un tasso superiore a quello stimato nel documento dell’esecutivo (l’Fmi, per l’anno prossimo, taglia però ancora la stima all’1%, mezzo punto in meno di quanto scritto nel Def).

E non è finita qui.

Secondo la Ragioneria generale dello Stato, il nuovo condono avrà un effetto «disincentivante» sui contribuenti, per cui, a fronte di una maggiore entrata stimata in 2,2 miliardi, si avrebbero 2,1 miliardi in meno dalla riscossione ordinaria.

E’ stucchevole la rigidità dei commissari europei, che continuano ad ignorare le esigenze di un’economia ristagnante come la nostra, richiamando meccanicamente i vincoli derivanti dal patto di stabilità.

C’è da chiedersi, però, al di là della «battaglia del deficit», se la minestra che stanno cucinando Lega e Cinque Stelle sia proprio quella adatta alla dieta di cui avrebbe bisogno l’Italia.