Non poteva che cominciare con il ricordo della strage di Orlando la ventesima edizione di Queer Lisboa, il più antico festival cinematografico cittadino conclusosi lo scorso sabato al Cinema São Jorge. Alla presenza dell’ambasciatore degli Stati Uniti in Portogallo, una messa in scena corale ha ricordato una per una le cinquanta vittime della sparatoria del Pulse della notte tra l’11 e il 12 giugno 2016, restituendo loro la parola e mostrandone i volti. Apertura dunque nel segno di una comunità ferita che si stringe attorno ai suoi cari, ribadendo la necessità dell’esistenza di spazi di rivendicazione di diritti e di visioni non conformi. In un senso molto ampio, la cui complessità e ambizione sono riscontrabili già nei numeri: cinque sezioni competitive – più le retrospettive – – presentano 114 film in nove giorni di proiezioni, fra le tre sale del São Jorge e quelle della Cinemateca Portuguesa.

Queer Lisboa è un festival internazionale profondamente legato alla sua città, e in occasione di questo anniversario ha visto aumentare ancor di più il numero degli spettatori superando le settemila presenze. «Sin dall’inizio abbiamo deciso di non essere semplicemente un festival di comunità, ma una manifestazione aperta a tutte e a tutti» afferma il direttore artistico João Ferreira. Le ragioni che ne fanno uno degli appuntamenti più significativi a livello internazionale risiedono soprattutto nella capacità di interrogarsi criticamente sul significato di cinema queer, portando avanti una programmazione rispettosa del pubblico e nello stesso tempo capace di sfidare i cliché e il senso comune. Così ad esempio lo statunitense Goat di Andrew Neel ha offerto un ritratto potente di come si costruiscono i modelli di mascolinità attraverso l’analisi della violenza e della stupidità dei riti di iniziazione che permettono l’accesso alle confraternite universitarie nordamericane; o ancora l’ultimo film di Vincent Dieutre, Trilogie de nos vies défaites, un trittico intergenerazionale che parla di crisi e disfacimento dell’io nel mondo contemporaneo attraverso la perdita del desiderio, l’aspirazione al suicidio e il desiderio di una vita non soltanto virtuale che caratterizzano rispettivamente i tre protagonisti.

Ma è certamente la retrospettiva dedicata a Derek Jarman il fiore all’occhiello di questo ventennale: alla presenza di amici e collaboratori del regista britannico e grazie al prezioso aiuto del British Film Institute sono stati presentati alcuni capolavori di Jarman insieme ai più rari super8, messi in dialogo con i film di altri autori sperimentali britannici (John Maybury, Cerith Wyn Evans, Mike Mansfield tra gli altri). Un dibattito intorno a Jarman è stata l’occasione per un confronto sulla cultura punk e post-punk e sulle sue eredità non soltanto cinematografiche, ma la dimensione legata all’approfondimento è proseguita con altri due appuntamenti all’incrocio tra teoria e spettacolo: la master class di Susanne Sachsse ha raccontato della vita di un’attrice e performer che dalla Germania Est ai film di Bruce LaBruce ha messo al centro del suo lavoro l’intersezione tra arte e politica (e che nella sua carte blanche ha presentato anche Salomè di Carmelo Bene); quella del ricercatore brasiliano Rodrigo Gerace, autore di Cinema explícito, un libro sulla rappresentazione del sesso nella storia del cinema, ha mostrato la mutevolezza e l’inevitabile contestualità del termine pornografia, attraverso una genealogia esemplificata in sala con film risalenti alle origini del cinema muto, quando un semplice bacio era considerato osceno.

Tra i vincitori delle sezioni competitive anche un film italiano, Irrawady mon amour di Valeria Testagrossa, Nicola Grignani e Andrea Zambelli, mentre due film brasiliani vincono le altre due competizioni principali: Antes o tempo não acabava di Sérgio Andrade e Fabio Baldo racconta la vita di un indigeno alla ricerca di sé in conflitto con varie identità possibili, mentre A paixão de JL di Carlos Nader è un documentario di creazione dedicato alla vita (e alla morte) dell’artista brasiliano José Leonilson. In apertura e in chiusura spazio al grande pubblico con due film (assai modesti) tratti da serie tv di successo: Absolutely Fabulous di Mandie Fletcher e Looking di Andrew Haigh.