Chi vorrebbe un Presidente dai caratteri forti è rimasto deluso. Chi auspica un Capo dello stato interventista non si faccia illusioni. Chi crede che possa far ombra a Renzi si può mettere l’anima in pace.

Ma chi voleva ascoltare un perfetto interprete del ruolo di garante della Costituzione come chi sperava di ritrovare una lettura fedele del carattere sociale della nostra Carta fondamentale è stato accontentato. E hanno avuto soddisfazione quanti scommettevano di avere sul Colle più alto un politico sensibile alla natura parlamentare della nostra democrazia, contro le scorciatoie populiste e decisioniste dei premier passati e presenti.

Tra i tanti aspetti che l’ingresso improvviso sulla scena politica di Sergio Mattarella ci presenta, uno è forse predominante: la chiarezza. Perché, con una biografia che ne fa fede, lui crede che la via maestra per difendere la nostra Costituzione significhi innanzitutto applicarla nei suoi principi fondamentali. E benvengano le riforme di cui c’è bisogno, ma solo se, e solo quelle, capaci di guarire le ferite che «la crisi ha inferto al tessuto sociale», «aumentando le «ingiustizie», creando «nuove povertà», producendo «emarginazione e solitudine». Una crisi che ha acutizzato le divisioni e reso «l’unità difficile, fragile, lontana», una crisi che non rispetta il cuore, i fondamenti della nostra repubblica: il diritto allo studio, al lavoro, a essere curati, a ripudiare la guerra e promuovere la pace, a godere di un’informazione autonoma e plurale, a tutelare la libertà e la sicurezza delle donne.

E’ un elenco lungo, insistito, preciso, ineludibile di quelle “speranze” e “difficoltà” del paese che già il nuovo Presidente della Repubblica aveva indicato nella breve frase di saluto pronunciata nel salone della Consulta subito dopo la sua elezione.

Quelle speranze e difficoltà che Sergio Mattarella, davanti al parlamento, è tornato a indicare con parole molto semplici e dunque inequivocabili. Come quelle riferite al dovere di ciascuno di concorrere «con lealtà» alle spese della comunità nazionale. Un passaggio, tuttavia, stridente se accostato con la presenza del grande evasore Berlusconi nei saloni del Quirinale, ospite di una giornata solenne, felice di aver così riconquistato una immeritata onorabilità. Perché se il Patto del Nazareno era stato affossato proprio dall’elezione di Mattarella, ieri ha ripreso vigore con l’apparire del pregiudicato: una presenza indigesta per quei milioni di cittadini che pagano le tasse, specialmente alla luce del provvedimento, noto come il “decreto del 3%”, a favore degli evasori che il governo si accinge a riproporre.

Mentre il Presidente della Repubblica annoverava con parole appunto semplici e inequivocabili, tutti i problemi sociali e politici che abbiamo di fronte, non ultimo il terrorismo internazionale, la platea gremita applaudiva ripetutamente, irrefrenabilmente come se gli ammonimenti pronunciati da Mattarella non fossero principalmente rivolti proprio a tutti i parlamentari. Per certi versi sembrava di assistere alla replica della rielezione di Napolitano, quando alle sue parole sferzanti rispondeva l’isterico applausometro di deputati e senatori principale oggetto della durissima reprimenda. Del resto lo sappiamo, in politica, rifugio dell’ipocrisia, si fa buon viso a cattivo gioco.

Ma la traduzione della Costituzione nella vita quotidiana, l’accento messo sulle priorità sociali non ha affatto significato eludere i temi politici e istituzionali più spinosi. Il ruolo di arbitro del Presidente nel processo delle riforme istituzionali gli piace, «è un’immagine efficace», però sappia, il premier Renzi, che un garante, un arbitro non potrà accettare la «deroga costante alle forme ordinarie del processo legislativo». In altre parole basta con il governo che fa le leggi con i decreti e basta con il parlamento ridotto a ruolo di passacarte. E «i giocatori lo aiutino con la loro correttezza».

Naturalmente per accorciare le distanze, per colmare il profondo fossato che divide gli eletti dagli elettori bisogna nominare la crisi della rappresentanza, la debolezza dei corpi intermedi che Renzi si è fatto vanto di aver «spianato» a cominciare dai sindacati. Né Mattarella sottovaluta la necessità di un cambiamento della politica, che in parte, dice, è già avvenuto. Non li nomina ma tutti capiscono che si riferisce ai giovani dei 5Stelle che applaudono e apprezzano. Così come è stato apprezzato dai leghisti il riferimento alla Resistenza.

Un particolare in più va annotato. Molte volte abbiamo sentito roboanti frasi di circostanza su mafia e corruzione. Questa volta le parole hanno avuto un sapore diverso, di verità perché ascoltate da un uomo che mentre le pronunciava probabilmente aveva davanti l’immagine del fratello ucciso dai sicari di Cosa Nostra agli ordini dei grandi boss di Palermo. E ogni tanto un po’ di verità basta a respirare un’aria migliore.

Non penso che il nuovo Presidente sia un cavaliere senza macchia e senza paura. E altri commenti che pubblichiamo offrono diversi spunti di riflessione sulle posizioni di Mattarella. Ma il discorso inaugurale del neopresidente merita rispetto e attenzione. Se le nobili parole pronunciate ieri si trasformeranno in azioni mirate a sostenere i diritti sociali e civili dei cittadini, se riuscirà a interpretare le difficoltà di milioni di italiani lo vedremo presto.